L’annuncio della scoperta di un possibile farmaco anti-virale contro il Covid-19 ha fatto il giro del mondo. Dopo un anno e mezzo di pandemia e la disponibilità di diversi vaccini, una terapia di facile distribuzione (è una pillola) fa sperare davvero nel ritorno alla normalità. Dunque, l’entusiasmo con cui molti media hanno rilanciato il comunicato della casa farmaceutica Merck è giustificato.

Il principio attivo del farmaco in questione si chiama molnupiravir e non è una novità. I ricercatori della Emory University di Atlanta (Usa), dove il farmaco è stato scoperto, ci lavorano dal 2013 e all’arrivo della pandemia il molnupiravir era considerato una potenziale terapia anti-influenzale ad ampio spettro. La pandemia ha convinto gli scienziati a sperimentarlo anche contro il Covid, nelle varie fasi della ricerca clinica. Il comunicato della Merck, che ha acquistato i diritti di sviluppo del farmaco dall’università, riferisce i risultati preliminari dei test di «fase 3» svolti negli Usa e in altri 22 stati.

È l’ultima tappa prima dell’eventuale approvazione, in cui si sperimenta il farmaco su un campione ampio di volontari con Covid lieve o moderato da confrontare con un uguale gruppo che riceve un placebo o un’altra terapia. Secondo l’azienda, nel campione trattato con il farmaco il 7,3% dei pazienti è stato ricoverato o è morto, mentre in quello che ha ricevuto il placebo la stessa percentuale è arrivata al 14,1%. Dal confronto di questi dati, l’azienda ha annunciato un’efficacia vicina al 50%.

Il risultato positivo ha indotto i ricercatori a interrompere il test, per non somministrare ai volontari un placebo in presenza di un’alternativa efficace. La Merck presenterà presto la richiesta di autorizzazione al commercio alla Food and Drug Administration, l’agenzia regolatoria statunitense. C’è da sperare che i risultati dell’azienda siano confermati e che il farmaco anti-Covid sia presto disponibile. Tuttavia, l’annuncio di ieri lascia ancora molti punti oscuri.

Innanzitutto, sul molnupiravir per ora conosciamo solo un comunicato stampa dell’azienda, che non ha l’affidabilità di una pubblicazione valutata dalla comunità scientifica. Mancano informazioni sulle caratteristiche cliniche dei partecipanti allo studio e soprattutto sulle reazioni avverse al farmaco e potenziale tossicità.

Inoltre, l’interruzione anticipata del test ha limitato la raccolta dei dati. Il test in origine avrebbe dovuto coinvolgere 1850 pazienti, ma i partecipanti reali sono stati solo 775, meno della metà. Questo potrebbe inficiare l’affidabilità dei risultati, perché un campione più piccolo è più soggetto a variabilità statistica.
L’efficacia del farmaco, infine, potrebbe essere stata artificialmente amplificata dalla scelta di confrontarlo con un placebo, cioè con una terapia del tutto inutile, e non con i farmaci anti-infiammatori né con gli anticorpi monoclonali, che hanno dimostrato una pur limitata efficacia contro i sintomi del Covid e sul decorso stesso della malattia.

Anche l’esperienza precedente dovrebbe suggerire maggiore prudenza nell’interpretare questi dati. Altri farmaci antivirali erano sembrati promettenti e addirittura autorizzati, prima di rivelarsi sostanzialmente inefficaci. Il caso più simile a quello del molnupiravir è quello del remdesivir, antivirale sviluppato in origine contro il virus Ebola e proposto come cura anti-Covid. In quel caso i test furono interrotti in anticipo dopo aver sperimentato il farmaco in circa 500 pazienti con risultati apparentemente incoraggianti, e il remdesivir fu autorizzato all’uso. Un test più ampio svolto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ne ha poi mostrato la sostanziale inefficacia e l’Oms attualmente ne sconsiglia l’impiego. Questo non ha impedito alla casa produttrice Gilead di venderne per 2,8 miliardi di dollari nel 2020 e prevedere ricavi analoghi per il 2021.

Anche per il molnupiravir l’affare potrebbe essere dietro l’angolo. Se il farmaco verrà approvato dalla Fda, il governo statunitense si è già impegnato ad acquistare dalla Merck 1,7 milioni di trattamenti al prezzo di 700 dollari, per un totale di 1,2 miliardi di dollari di soldi pubblici. E c’è da aspettarsi che molti altri governi vorranno acquistare un farmaco promettente e autorizzato contro il Covid-19.

Se il molnupiravir si rivelerà efficace, inizierà anche un nuovo round dello scontro tra i paesi ricchi e quelli poveri per l’accesso alle terapie. Il prezzo di 700 dollari a trattamento non è alla portata dei paesi in via di sviluppo e un farmaco antivirale è molto più facile da riprodurre rispetto a un vaccino a mRna. La Merck ha già stretto accordi con cinque aziende indiane per la distribuzione a basso costo del farmaco nel subcontinente, ma potrebbe non bastare per coprire il fabbisogno mondiale. Dunque, in questo caso abbattere le barriere brevettuali potrebbe rivelarsi davvero cruciale.

La battaglia per la sospensione della proprietà intellettuale sui farmaci vede il mondo ancora diviso in due: da un lato Sudafrica, India e un centinaio di paesi a basso e medio reddito favorevoli alla moratoria, dall’altro Usa e Europa decisamente contrari. Nel caso dell’Unione Europea, il Parlamento ha già votato una risoluzione che invita la Commissione a schierarsi a favore della moratoria, ma finora Ursula Von Der Leyen ha ignorato la richiesta. La discussione all’Omc, in stallo da un anno, dovrebbe riprendere proprio domani a Ginevra.