Parte già azzoppato il «tavolo» di Angela Merkel con gli industriali per varare il nuovo piano-assunzioni di 1,2 milioni di richiedenti asilo registrati in Germania. Il summit per aumentare i posti di lavoro dei profughi nelle imprese tedesche resta fissato per il 14 settembre, mentre la cancelliera accusa i grandi Konzern di «non fare abbastanza per l’integrazione dei migranti nel mercato del lavoro», ovvero di boicottare la sua «politica di benvenuto».

La posizione è esattamente quella espressa a luglio dal ministro dell’economia Sigmar Gabriel (Spd) impegnato proprio come Mutti, ad accelerare l’iter di integrazione (e di espulsione) in vista delle elezioni del Bundestag nel 2017. Ma è una corsa contro il tempo. E, soprattutto, contro gli industriali.

Respingono al mittente le accuse di sabotaggio della Wilkommenkultur imposta dalla cancelliera e puntano il dito contro il governo: «La via per l’integrazione è una strada lunga: le imprese fanno la loro parte, ma non basta. Servono dallo Stato federale almeno 5 miliardi in più all’anno. Senza contare che spesso i richiedenti asilo non sanno neppure parlare tedesco…» taglia corto Eric Schweitzer, da tre anni presidente del Dihk, l’ente delle Camere di industria e commercio.

Più di una frecciata alla gestione dell’accoglienza e la replica all’«insinuazione» di Merkel e Gabriel «che non tiene conto della realtà». Secondo l’associazione industriali, a luglio risultavano vacanti 170 mila posti nella formazione aziendale a fronte di 150 mila candidati. «In quasi tutte le società mancano gli apprendisti. Questo è drammatico» sottolinea Schweitzer sul Mannheimer Morgen. Tradotto, significa che l’integrazione dei rifugiati non funziona ben prima del mercato del lavoro: i profughi sono disconnessi non solo con l’economia. A riguardo, rimbalzano i dati 2016 del ministero delle finanze di aprile sulla disoccupazione (110 mila nuovi casi, 2,8 milioni in totale) quanto la cifra fornita dal principale quotidiano finanziario tedesco sull’impiego di appena 54 rifugiati nelle 30 aziende nel Dax della Borsa di Francoforte.

Ma a dar retta agli industriali «nel 2016 è prevista una crescita dell’1,5%. Se non avessimo avuto prezzo del petrolio e tassi di interesse bassi e l’euro debole, sarebbe solo dello 0,5%». Merito dei consumi in rialzo, molto meno della ripresa industriale e per niente degli effetti della norma che sospende lo stop al lavoro per i profughi in presenza di candidati comunitari, entrata in vigore solo all’inizio di agosto. Mentre resta da verificare quanto resterà del fondo di oltre 6 miliardi per l’emergenza profughi custodito dal ministro delle finanze Wolfgang Schäuble. Giudicato insufficiente dai 16 Land tedeschi ma più che congruo secondo il quotidiano Handelsblatt (che stima addirittura un avanzo), servirà come base di incentivo per il nuovo piano assunzioni dei profughi.

Comunque, la cancelliera Merkel ben prima di settembre conta sulla «collaborazione attiva» dei maggiori Konzern: da Siemens a Volkswagen (per il 25% statale, ma sull’orlo del fallimento se verranno confermate le multe miliardarie per lo scandalo emissioni), da Opel a Mercedes, da Rwe a Evonik e Deutsche Post, fino alle multinazionali farmaceutiche e chimiche.
Tuttavia è ancora Schweitze a ricordare che se il governo Merkel pretende che l’industria tedesca assorba centinaia di migliaia di richiedenti-asilo, «avrebbe dovuto investire di più per modernizzare le infrastrutture e i trasporti».