Il 2020 ha fatto registrare un salto dei debiti, in particolare pubblici, senza precedenti in tempi di pace. I principali paesi, compresa la Cina, hanno totalizzato circa il 90% del nuovo debito. Una strategia messa in campo per arginare le perdite dovute alla crisi economica e alle regole di prevenzione sanitaria, ma anche per socializzare debiti privati non sempre conseguenza della pandemia. Nel 2020 rispetto al 2019 il debito complessivo è aumentato di ben 27 mila miliardi di dollari, un incremento del 14%. Il debito pubblico è arrivato a sfiorare il 100% del Pil mondiale.

In attesa dei dati del 2021, la traiettoria del rapporto debito/Pil, seppur in presenza di un effetto rimbalzo dell’economia, non sembra andare oltre la stabilizzazione. Il FMI prevede che il debito pubblico sarà superiore, rispetto alle attese precedenti il 2020, di 20 punti percentuale fino al 2026, per poi seguire una parabola di moderata discesa. Ci troveremo immersi in una marea di debiti. Il 2022, anche per timore dell’inflazione, è previsto come un anno in cui l’azione espansiva delle banche centrali rallenterà. La Fed e la BCE punteranno all’azzeramento dei piani straordinari di acquisto di titoli, per poi arrivare tra la fine dell’anno (Fed) e il 2023 (BCE) ad un aumento del costo del denaro, lasciato nominalmente per molto tempo attorno allo zero. Ciò non si tradurrà certamente in una fine delle politiche «non convenzionali», ormai decennali, delle banche centrali.

La BCE detiene oggi circa il 30% del debito pubblico europeo. I titoli che andranno a scadenza verranno rinnovati, mentre il Quantitative Easing proseguirà per il 2022 con dosi superiori a quelle del 2019. Il balzo del 20% dell’indebitamento pubblico e il ridimensionamento di politiche monetarie espansive peseranno in particolare su quei paesi che avevano storicamente un debito elevato. Tra questi naturalmente figura anche l’Italia. Dato che i tassi di crescita economica e quelli inflazionistici, seppur in ripresa, non si annunciano a un livello tale da consentire un riassorbimento significativo dei debiti, si sta nuovamente ragionando su come gestire l’immensa massa debitoria. In Europa la discussione sembra ripartita sul patto di stabilità e sui parametri per deficit e debito. Sul tema sembrerebbe emergere un asse tra i governi francese e italiano per creare un’Agenzia continentale del debito, magari con una partecipazione a quote come il Mes, con l’obiettivo di creare titoli a basso rischio e rendimento.

Tali titoli dovrebbero andare sul mercato per finanziare l’Agenzia, così da alleggerire il bilancio della BCE nella misura pari alla quota di incremento del debito causato dalla crisi pandemica per ogni paese. In poche parole per quella quota, che per l’Italia rappresenterebbe il 19,2% del proprio debito, vi sarebbe un costo calmierato (la stima è di circa un terzo rispetto al costo attuale di mercato). A tale quota potrebbe sommarsi quella parte di debito generatasi per effetto della crisi del 2008. L’asse italo-francese sembra una mossa preventiva rispetto a una annunciata richiesta dei paesi frugali di togliere progressivamente dal bilancio BCE quel 30% di titoli dei singoli stati membri. Oggi gli interessi pagati sui titoli in mano alla BCE sono di fatto una partita di giro, perché i profitti BCE vengono girati alle banche centrali nazionali e per questa via tornano a disposizione dei singoli stati anche se non nella stessa proporzione.

L’emissione di titoli europei determinerebbe invece un costo, per quanto calmierato, di quei titoli oggi nella pancia della banca centrale. Oggi quel costo sarebbe prossimo allo zero, ma in prospettiva? Il rischio di ripiombare in una spirale da «trappola del debito» sulla restante parte dei titoli rimarrebbe forte. Soprattutto in assenza di misure strutturali sul debito pregresso e sulla prevedibile spesa in deficit che sarà necessaria agli investimenti e alla urgente transizione ecologica. L’ipotesi dell’agenzia del debito comune sembra una risposta al di sotto delle necessità.