Finita l’era negazionista di Trump riprende dunque, ma in modo troppo flebile, il filo del discorso, in una situazione pandemia dagli esiti ancora incerti. Di certo c’è solo che le politiche contro la crisi climatica segnano il passo.
L’iniziativa del Presidente Biden, che segue la visita di John Kerry in Cina a incontrare a Shanghai il suo omologo Xie Zhenhua, è importante per cercare rimettere insieme i Paesi e rilanciare l’azione sul clima.

Sul piano politico l’aspetto di maggior rilievo – forse l’unico – del summit virtuale è infatti una ripresa di dialogo tra Usa e Cina che proprio sul tema climatico possono trovare un terreno per ricucire i rapporti dopo le tensioni della guerra commerciale.

Va ricordato che lo stesso Accordo di Parigi del 2015 fu preceduto da un accordo di cooperazione tecnologica tra le due potenze che è stato una premessa che favorì l’accordo. Questa è in effetti una delle chiavi per capire se sul clima un “green deal” globale può funzionare. Le premesse, ne abbiamo scritto più volte, ci sarebbero: i costi delle tecnologie pulite sono progressivamente diventati più competitivi e un passaggio a una base produttiva rinnovabile comporta una maggiore occupazione.

La questione è che, nella transizione, la politica e gli stati devono essere capaci di governare i passaggi in modo da riconvertire parte dei lavoratori e ammortizzare gli effetti sociali laddove questo non sia fattibile. Per questa ragione nel pacchetto Next Generation Eu è previsto un fondo Just Transition che servirà anche a chiudere le miniere di carbone, ad esempio in Polonia, e a riconvertire in altri settori i lavoratori o parte di essi.

Se la riapertura del dialogo Usa-Cina è cruciale per rilanciare l’azione globale sul clima, il dialogo con il Presidente del Brasile Bolsonaro avrebbe bisogno di un chiarimento di fondo su come il suo governo sta continuando a promuovere la distruzione della foresta amazzonica e a calpestare i diritti degli indigeni. Se negli Usa il Presidente Biden ha fermato l’oleodotto Keystone XL su spinta dei movimenti indigeni e ambientalisti, l’aggravarsi della deforestazione in Brasile, anche durante una pandemia che sta colpendo duramente il Paese, è inaccettabile.

Il Presidente Draghi ha detto che “dobbiamo invertire la rotta e farlo presto”, bisognerà vedere come e con quali scelte industriali, tecnologiche e dell’assetto urbano. I fondi del Piano di ripresa sono importanti ma non saranno di per sé sufficienti: ma daranno la direzione su dove dirigere gli investimenti e quindi ordinare le politiche pubbliche e le azioni del settore privato.

E l’approvazione della Legge sul Clima europea, giusto il 21 aprile dopo 14 ore di negoziati tra Commissione e Consiglio, rafforza la direzione intrapresa dall’Ue che però è tarata su obiettivi non sufficientemente ambiziosi (taglio del 55% al 2030). Rimangono sul tappeto europeo due questioni, al momento sospese dalla Tassonomia per definire cosa è sostenibile: il nucleare (su pressione di Francia e alcuni Paesi dell’est) e gas fossile (su pressione certamente di grandi aziende come Eni, non sappiamo quanto anche del governo).

Non si tratta ovviamente solo di questioni linguistiche ma corposi interessi. Per quanto riguarda l’Italia vedremo dalla composizione del Piano di resilienza quanto verrà dato a progetti basati sul gas fossile: da questo capiremo se l’obiettivo è davvero di “invertire la rotta” o invece di proteggere un settore e grandi aziende che dall’Accordo di Parigi del 2015 ad oggi hanno fatto poco o nulla per modificare la loro traiettoria. Che in questi anni è stata ed è ancora in rotta di collisione con il clima.

*Direttore Greenpeace Italia