A Yerevan, capitale della Repubblica armena nata dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica, si avvicinano le celebrazioni del centenario del genocidio armeno. Le commemorazioni di rito culmineranno, come da tradizione, il 24 aprile e vi prenderanno parte diversi capi di stato da Putin a Hollande, e celebrità di tutto il mondo, inclusa l’attivista per i diritti umani Amal Alamuddin, da tempo impegnata nella battaglia per il riconoscimento internazionale di questo genocidio. A dare un tocco di colore a questa commemorazione ci saranno anche le sorelle Kardashian, star della televisione americana di origine armena, che si trovano già da alcuni giorni a Yerevan.

Un’attenzione di cui l’Armenia, ora più che mai, ha un disperato bisogno. Stretta fra vicini molto più potenti e ostili, priva di gas e petrolio e con un conflitto tuttora in corso con l’Azerbaigian che è sempre più difficile definire «congelato» (nel solo mese di gennaio si sono registrati 12 morti e 18 feriti da entrambe le parti), l’Armenia si presenta oggi come un paese stremato e costretto ad investire le sue poche risorse in una corsa agli armamenti che la vede arrancare rispetto all’Azerbaigian, paese invece ricco di fonti energetiche. L’adesione, avvenuta il primo di gennaio di quest’anno, all’Unione euroasiatica voluta da Putin non ha finora sortito effetti positivi, data anche la contrazione dell’economia russa da cui l’Armenia dipende in modo massiccio. Il resto lo fanno la corruzione diffusa e una classe di oligarchi che mina fortemente le possibilità di sviluppo del paese, segnato da feroci disuguaglianze.

A ciò si aggiunge il difficile rapporto con un altro importante vicino, la Turchia, con cui non esistono relazioni diplomatiche e che ha imposto fin dal 1993 – in solidarietà con l’Azerbaigian, stato di cui è alleato – la chiusura dei confini con l’Armenia. Un rapporto su cui grava, inoltre l’ombra del passato, e in particolare il mancato riconoscimento da parte di Ankara del genocidio avvenuto nel 1915 nell’Impero ottomano.

Nonostante i molti passi avanti compiuti negli ultimi anni e alcune aperture politiche, il governo di Ankara ha mantenuto fino ad oggi una posizione piuttosto rigida sulla questione.

La visita in Italia di questi giorni del presidente armeno, Serzh Sargsyan, va allora inquadrata in quest’ottica: nel tentativo di rompere l’isolamento politico e economico dell’Armenia e cercare di controbilanciare grazie all’Unione europea una presenza, quella di Mosca, che inizia ad essere avvertita come in parte ostile nei confronti dell’Armenia.

Questo anche perché la posizione della Russia sullo scacchiere del Caucaso meridionale, negli ultimi anni, si è dimostrata tutt’altro che limpida. Basti pensare al fatto che, a discapito del supporto politico e militare fornito a Yerevan, l’85% delle armi importate da Baku vengano acquistate appunto da Mosca. La delegazione guidata dal presidente armeno Sargsyan e dal ministro degli esteri Nalbandyan ha trovato però un accoglienza piuttosto tiepida a Roma, sintomo di un timore diffuso da parte del governo italiano di compromettere le relazioni con la Turchia e l’Azerbaigian, partner importanti da un punto di vista commerciale ed energetico.

Palazzo Chigi non ha voluto ricevere Sargsyan, e il presidente armeno ha potuto così incontrare solo il presidente della Repubblica italiano Mattarella, oltre ad alcuni ministri. Sulla questione del genocidio, da parte italiana, si è avuta una posizione quanto mai reticente. A gettare acqua sul fuoco, è stata poi la pubblicazione domenica di vari articoli di sulla stampa italiana in cui si illustra come il governo italiano abbia chiesto e ottenuto la rimozione della parola «genocidio» dalle celebrazioni ufficiali del centenario organizzate dall’Ambasciata armena a Roma.

Accuse pesanti, che gettano una luce torbida sulle complicità del governo e che fanno tornare alla mente le affermazioni – affatto rivelatrici alla luce dei recenti eventi – della deputata del Partito democratico, Romina Mura, pronunciate il novembre scorso. Mura, in una interrogazione rivolta al ministro Gentiloni, chiedeva se avesse notizia delle «iniziative intraprese dall’Ambasciata turca in Italia in occasione degli eventi commemorativi del genocidio del popolo armeno» e se non ritenesse grave l’ingerenza delle autorità turche, per via diplomatica, negli affari che riguardano la libera espressione di cittadini nella Repubblica italiana. Il genocidio armeno è stato riconosciuto nel 1985 dalla sottocommissione dei diritti umani dell’Onu e nel 1987 dal Parlamento europeo.

Tra gli oltre venti paesi che lo riconoscono, come la Francia, c’è anche l’Italia, la cui risoluzione è stata votata dalla Camera nel novembre 2000. In altri paesi come la Svizzera, Cipro, la Grecia e la Slovacchia esistono inoltre norme che ne condannano il negazionismo, per quanto appaiano in contrasto con una sentenza del 2013 della Corte europea dei diritti umani.