Visioni

Sul buon uso del fritto misto “Classici al Lido”

Sul buon uso del fritto misto  “Classici al Lido”Mysterious Object at Noondi Apitchatpong Weresethakul

Venezia 70. il termine classico diventa un ombrello sotto cui radunare proposte disparate, accedendo la nostalgia per la "vecchia" retrospettiva

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 26 agosto 2013

È un  rebus. Non è chiaro cosa tenga insieme i film che compongono la sezione «Venezia Classici» della 70/ma Mostra Internazionale d’arte cinematografica che si aprirà domani a Venezia. Per motivi di spazio e di tempo escludo fin da ora di speculare sul termine «classico». Solo, alcune considerazioni. Il titolo della sezione emula (senza troppa fantasia per la verità) il gemello francofono sito sulla Croisette, a Cannes: «Cannes Classics». A ben vedere, i due festival sembrano davvero il risultato di un parto gemellare: Concorso – Fuori Concorso – sezione Orizzonti e/o Un Certain Regard – Giornate degli Autori / Quinzaine des Réalisateurs – Cannes Classics e/o Venezia Classici.
L’idea che mi sono fatto è che «classico» qui funga semplicemente da termine ombrello. In linguistica, potremmo parlare di iperonimia. Facciamo un esempio: il termine «mobile», segnala wikipedia, fungerebbe da iperonimo di sedia, tavolo, armadio. E qui? Classico svolgerebbe un po’ il medesimo ruolo? Chissà, forse la comparazione potrà apparire un po’ tirata per i capelli. Eppure, scorrendo i titoli si comprende molto più facilmente la questione. Il termine funge pure da fantastico attrattore: Hotel Monterey (Chantal Akerman), Quién Sabe  (Damiano Damiani), My Darling Clementine(John Ford), Sorcerer (William Friedkin), Bertolucci on Bertolucci (Luca Guadagnino – Walter Fasano), Ti ricordi di Dolly Bell? (Emir Kusturica), Furyo(Nagisa Ôshima), Vaghe stelle dell’orsa (Luchino Visconti), Paisà(Roberto Rossellini),Double Play: James Benning and Richard Linklater(Gabe Klinger),Mysterious Object at Noon (Apitchatpong Weresethakul), The Adventures of Ajji Baba (Don Weis), solo per citarne alcuni. Insomma, un bel fritto misto più che un classico.
Tempo fa, a ridosso dell’uscita in sala di To Be Or Not To Be, avevamo segnalato come anche i «film del passato» venissero ormai considerati come materiale sensibile, da cui spremere un potenziale ricavo economico (tv, internet, riproposizione in sala). I festival, da questo punto di vista, somigliano alla perfetta vetrina dove promuovere gli ultimi risultati di quella forma di restauro che somiglia spesso a un trattamento cosmetico. Restauro 2.0. Insomma, qualcuno (per primo Thierry Frémaux) ha compreso che bastava qualche telefonata agli archivi, qualche telefonata alle Major e si sarebbe potuto tranquillamente mettere in piedi un programma di film. Venezia si è accodata.
Certo, per i cinefili emergono chicche da leccarsi i baffi. Dunque perché lamentarsi? Sarò demodé, ma si sente la mancanza di quello che un tempo era lo spazio delle vere retrospettive, dove era possibile rivedersi in blocco la parabola filmica di un regista. Impresa titanica oggi, ma ancora possibile. Si è da poco chiusa a Locarno l’ultima edizione di un magnifico festival che ha accolto al suo interno una retrospettiva dedicata a George Cukor, curata magistralmente da Roberto Turigliatto. Mi si dirà: non sono più i festival ma le cineteche oggi ad organizzare le retrospettive. Potrei anche convenirne, se fosse vero. Ma il discorso è più complesso. Resta il rebus: che fare di questi film ammucchiati in vetrina? Alcuni titoli sono così belli che rischiano di far sfigurare i film in concorso. Fate così: al terzo film noioso che vi capiterà di vedere, gettate un occhio sul programma di «Venezia Classici». Entrate in sala. Sarà come entrare in una camera di decompressione.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento