Una fuga di notizie dalla Commissione europea confermerebbe che il finanziamento della disposizione transitoria della PAC, la politica agricola comune dell’Unione europea (una delle voci di spesa più importanti che da sola copre un terzo di tutto il budget dell’Unione), potrebbe tagliare i fondi allo sviluppo rurale. «Il rischio è che il biologico resti senza sostegno», è la denuncia di Antonio Onorati, portavoce di Ecvc-via Campesina, «una misura paradossale in un contesto in cui tante parole sono state spese in favore di un nuovo corso» nelle politiche ambientali dell’Unione.La fuga di notizie è arrivata dopo un incontro, avvenuto la settimana scorsa a Bruxelles, fra la Direzione generale agricoltura della Commissione europea e le organizzazioni di categoria del settore agro-alimentare. Secondo quanto diffuso in un comunicato stampa da via Campesina, organizzazione mondiale che difende i diritti dei piccoli contadini, a rischio sarebbero i finanziamenti del secondo pilastro, ovvero i fondi per lo sviluppo regionale, il cui finanziamento potrebbe essere messo sulle spalle dei singoli stati membri. Una scelta che, se confermata nella riforma di una nuova PAC, andrebbe nella direzione di «una nazionalizzazione della PAC» denuncia Onorati.

Inaugurato nel 2003 e modificato una prima volta nel 2013, il secondo pilastro rappresenta il 25 per cento del budget della PAC e mira a sostenere la modernizzazione delle aziende agricole, la formazione degli agricoltori, la promozione del turismo locale, i programmi di transizione ecologica e naturalmente di sostegno al settore dell’agricoltura biologica.

Nella disposizione transitoria, in attesa che Commissione e Parlamento europeo diano forma alla terza riforma della PAC, non dovrebbe essere a rischio il primo pilastro, ovvero gli aiuti diretti agli agricoltori, principale strumento europeo di sostegno al settore agricolo, che da solo copre il 70 per cento di tutta la Politica agricola comune. Aiuti contestati dalle organizzazioni di categoria in difesa dei produttori di piccola e media taglia, poiché basato su «un’ingiusta ripartizione delle risorse pubbliche che sostengono un’agricoltura industrializzata e un modello agricolo insostenibile e di scarsa qualità nutrizionale», è il commento di Onorati per via Campesina, organizzazione che promuove una riforma basata su nuovi criteri di sovvenzionamento degli aiuti diretti, non più assegnati sulla superficie, e quindi a beneficio di grandi aziende e multinazionali, ma su nuovi criteri come ad esempio il numero dei lavoratori effettivi per azienda.

La vera partita si giocherà quando la riforma passerà sulla scrivania della nuova Commissione europea, presieduta dalla presidente Ursula Von der Leyen, che avrà il compito di riprendere e finalizzare il lavoro del suo precedessore, Jean Claude Juncker, che nel giugno 2018 ha presentato una serie di proposte legislative per una nuova Politica agricola comune.

Secondo la Commissione europea, «tali proposte intendono permettere alla PAC di affrontare più efficacemente le sfide attuali e future, quali i cambiamenti climatici o il ricambio generazionale, pur continuando a sostenere gli agricoltori europei per promuovere un settore agricolo sostenibile e competitivo». Nonostante la riduzione delle risorse, secondo fonti ufficiali previste (per il momento) al 5 per cento (tenendo conto dei minori contributi versati in una futura Unione a 27) la nuova PAC dovrebbe « continuare a garantire accesso ad alimenti di elevata qualità e un forte sostegno al modello agricolo europeo». La riforma intende «garantire un reddito equo agli agricoltori, contrastare i cambiamenti climatici, tutelare l’ambiente, salvaguardare il paesaggio e la biodiversità, sostenere il ricambio generazionale, sviluppare aree rurali dinamiche, proteggere la qualità dell’alimentazione e della salute».

Di «buoni principi che difficilmente troveranno una vera applicazione» parla Onorati, che aggiunge: «Per le piccole aziende non c’è niente, a parte delle dichiarazioni di simpatia». Un giudizio negativo anche sul ruolo della riforma come strumento per regolare gli squilibri interni al mercato europeo: «Non c’è niente sulla gestione del mercato interno, una misura paradossale se pensiamo agli sforzi messi in atto nel realizzare accordi commerciali in ambito internazionale, col rischio di mettere in crisi il mercato europeo, primo fra tutti il settore del latte».

«Il settore agricolo non può più attendere, qualunque sia il ritardo della riforma della PAC, la diminuzione del numero di agricoltori e la caduta dei prezzi e dei redditi impongono misure per la redistribuzione delle risorse», è la posizione di via Campesina. Per l’organizzazione mondiale che rappresenta l’agricoltura contadina la riforma dovrebbe «difendere un’idea di giustizia in cui i soldi pubblici siano a beneficio di chi ne ha bisogno». Per questo motivo ha chiesto che, nel testo della della terza riforma PAC, il tetto per gli aiuti diretti sia fissato a 60 mila euro per azienda, con lo scopo di agevolare una migliore distribuzione delle risorse pubbliche verso le realtà agricole di piccola taglia. Un tetto che la Commissione europea intende stabilire a 100 mila euro.