Qualcuno dovrebbe suggerire a Pietro Castellitto che la volgarità del tempo può essere resa con sottigliezza, umorismo, suggestioni, e soprattutto schivando il compiacimento verso ciò che si osserva e di cui si vorrebbe rivelare il rovescio. Questione di scrittura, di regia, di punto di vista che sembrano mancare in questa sua seconda prova da regista, dopo il premio Orizzonti per l’esordio, I predatori, che già segnalava una certa attrazione per le soluzioni «a effetto». IN QUESTA «Grande Bellezza» formato giovane ciò che era lì in traccia esplode nello scenario di una Roma «bene» a ispirazione sorrentiniana – e non solo...