Sükran Moral è un’artista totale che vive tra Istanbul e Roma, dove ha studiato all’Accademia delle Belle Arti. Il suo stile di performer «colpisci e scappa» è un ormai prototipo internazionale di un’arte che diventa gesto politico nel travestimento, e una ribellione concettuale che è prima di tutto comunitaria e corporale oltre che azione d’avanguardia.

Vivere in un paese autoritario ha sviluppato presto in lei quella che chiama «estetica della disperazione», un dolore sensuale e una tormentata felicità la portano al parossismo comportamentale, a una «azione illegale esplosiva» dove è sempre la coraggiosa protagonista delle sue azioni.

I temi delle sue performance sono tutti rigorosamente «scandalosi» e caustici, rompono gli schemi e disarticolano i sistemi di pensiero, soprattutto del conformismo sessista. Come in «Amemus», un lavoro che definisce «una dolcissima performance che mette in scena un amore lesbo», o in «Hammam» quando si fa lavare da uomini nel bagno turco, mentre «Transistanbul – Demet« è una lunga una lunga confessione di una trans turca che racconta i maltrattamenti subiti dalla polizia.

In un video girato a Gezy Park, durante le manifestazioni contro l’abbattimento di alberi per la costruzione di un centro commerciale, con una lametta l’artista turca scrive in pubblico nel suo ventre una «A» rossa di sangue vivo, simbolo dell‘anarchia e della ribellione nei confronti di ogni forma di oppressione politica.

Le abbiamo rivolto alcune domande sulla situazione politica del suo paese.

Come è la situazione in Turchia dopo l’attacco al Reina? Quale è il clima che si respira nel paese?

Stiamo vivendo una situazione traumatica, come società viviamo un periodo post trauma. C’è grande insoddisfazione, infelicità, è un momento caratterizzato da forte negatività. A questi traumi in corso va aggiunto il crollo dell’economia.

C’è un fronte culturale, di intellettuali che si ribellano al regime di Erdogan e che vengono repressi. Li conosci, li frequenti? Chi sono?

Esiste un fronte, una coalizione che si sta ribellando e che tenta in ogni modo, con ogni mezzo di resistere. Ma chi si ribella, chi fa opposizione viene perseguitato. Giornalisti, artisti, intellettuali, pensatori laici, anche se scrivono qualcosa su Twitter rischiano di finire perseguitati. Finiscono nel mirino del potere e, quando va bene, perdono il lavoro. I giornalisti del giornale Cumhuriyet sono ancora imprigionati.

Quale è il compito di un artista quando la democrazia è in pericolo?
L’Artista deve essere sempre contro il potere, contro ogni fascismo. E soprattutto non deve mai essere un conformista. Io Artista non posso restare impassibile di fronte al fatto che stanno per cambiare, addirittura, il sistema di governo; e di fronte ad una realtà di inaudita gravità dovrei restare zitta? Ho il dovere di urlare la verità, con tutta la voce che. Con il mio lavoro. Il mio lavoro deve essere una denuncia. Da anni subisco censura, l’ambiente artistico da anni mi ha censurata. Per questo ho trovato e attuato uno stile di performance «colpisci e scappa». Come la guerriglia. Nell’ultima performance che ho ideata a novembre 2016, in occasione della Fiera d’arte di Istanbul, «Hit and run my heart». Ho inchiodato a martellate i cuori di animali. Ho chiuso la performance gettando verso il pubblico il manifesto insanguinato che avevo scritto.

Tu sei dovuta scappare in Italia, nel 2010, perché avevi ricevuto minacce di morte. Come è nata l’idea di Hamam? Una delle tue provocazione più riuscite.

Ho realizzato Hamam nel 1997 per la Biennale di Istanbul. Ho usato l’Hamam per due ragioni: è un luogo a me molto caro. Mi riportava alla mente momenti molto affettuosi con mia mamma, lei ci portava ogni fine settimana, avevo scoperto il corpo femminile nell’ Hamam. L’Hamam mi ricordava mia madre, la mia infanzia con lei. Raccontare l’Hamam era con ricordare mia madre, che era mancata da poco. La seconda è che l’Hamam è un posto per godere, divertirsi. Era un servizio per uomini. Un posto maschile. E io dovevo interromperlo, entrare nella parte maschile. C’è una ricerca estetica di alto livello come «tableau vivant» di Caravaggio o un affresco di Pompei.

Parlami di «Matrimonio con tre», un’altra tua performance.

Matrimonio con tre come performance nasce da un fatto che mi è accaduto. Nel 1994 ero studentessa all’Accademia di Belle Arti di Roma, nonostante ciò, per un problema burocratico, mi hanno espulsa. In poco tempo mi sono ritrovata clandestina, non potevo viaggiare. Ho capito che cosa vuol dire extracomunitaria. Ho reagito con questa performance, anche perché tutti dicevano «sposati un italiano cosi ti salvi». L’idea mi e venuta cosi. Ho organizzato un matrimonio con tre persone, uno era una donna e gli ho chiesto se poteva diventare un uomo. Così avevo celebrato anche un matrimonio omosessuale.

Il 20 Marzo del 2016 dopo l’attentato nel quartiere Beyoglu nel corso di una performance hai invitato la gente ad uscire di casa e a cantare. Quale era il senso che volevi dare a questa cosa?

Dopo l’attentato di Beyoglu il fine settimana la gente si è chiusa a casa per paura. Ho deciso di fare questa performance nelle ventiquattrore successive all’attentato. Dopo che era stata diffusa la notizia che non dovevamo andare in piazza, in metro nel centro commerciale. Ebbene, sono andata lì ed ho iniziato a cantare una canzone d’amore, che ho diffuso in diretta via «Periscope». Dicevo uscite di casa non dovete avere paura assolutamente, dobbiamo riempire la piazza insieme, dobbiamo cantare a voce alta. Un artista non si può fermare, non può restare zitta davanti al fascismo che avanza.