Sharaf Hassan aveva 21 anni, un passato di tossicodipendenza e pesava 50 kg quando si impiccò, il 23 luglio 2018, nella cella del carcere per adulti di Viterbo «Mammagialla», dove era recluso in isolamento «dopo avere ricevuto alcuni schiaffi dal personale di polizia penitenziaria», come ricostruisce la Procura generale presso la corte d’Appello di Roma. Morì otto giorni dopo in ospedale.

Quell’anno, nel 2018, non fu l’unico a suicidarsi in carcere: Ristretti orizzonti ne ha contati 67. Quest’anno un po’ di meno: 52. Ma il caso di Sharaf Hassan – che quando si è ucciso aveva un residuo di pena da scontare di un mese e 18 giorni per la detenzione di 0,4 grammi di hashish quando era minorenne; pochi giorni prima aveva denunciato al Garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, di aver subito vessazioni e violenze da parte degli agenti; e che avrebbe dovuto essere trasferito dal maggio precedente in un istituto per minorenni come ordinato dal Tribunale dei minori – è stato riaperto pochi giorni fa dalla Procura generale che ha deciso di avocare il procedimento di cui si stava occupando la procura di Viterbo, di annullare la richiesta di archiviazione e e di indagare anche per tortura e omicidio colposo.
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I Pm della città laziale infatti avevano aperto un’inchiesta contro ignoti per istigazione al suicidio chiedendone in seguito l’archiviazione. Il Gip aveva fissato l’udienza nel 2024, anticipata poi al 22 gennaio 2022 su istanza dello stesso Pm. Da quel procedimento ne era seguito un secondo per abuso di contenzione a carico di due agenti del Mammagialla, il cui processo si è aperto lunedì scorso ma viene considerato dagli avvocati dei familiari, Giacomo Barelli, legale del cugino, e Michele Andreano, legale della madre del giovane e della Ong Moltaquael Hevar, un fatto minore.

Gli avvocati si erano opposti all’archiviazione del fascicolo sull’istigazione al suicidio del povero ragazzo che era arrivato in Italia su un barcone quando aveva 14 anni e che di lì a poco era diventato tossicodipendente. Sul caso il presidente di + Europa, Riccardo Magi, aveva presentato due interrogazioni parlamentari, e ora la decisione della Procura generale di avocare il procedimento.

«È il segno di una volontà di non lasciare dubbi intorno alle sue cause e dunque è benvenuta  – commenta Stefano Anastasia – Se un ragazzo di ventun anni, che avrebbe dovuto essere in un istituto penale per minori, muore in una cella di isolamento di un carcere per adulti dopo aver denunciato, tramite il Garante, maltrattamenti ai suoi danni, qualcosa non ha funzionato ed è importante che la magistratura non lasci ombre su quanto è accaduto».