Che arrivi o no a completare l’iter parlamentare, la legge sul suicidio medicalmente assistito attesa lunedì in plenaria alla Camera dopo quasi tre anni dalla sua prima calendarizzazione (30 gennaio 2019) e 13 rinvii in Aula naufragati, il referendum sull’eutanasia legale sarà comunque necessario. Perché, come hanno spiegato i promotori della campagna referendaria che ha raccolto 1,24 milioni di firme, la pdl licenziata dalle commissioni Giustizia e Affari sociali si limita a mettere a punto una procedura – con molte falle – per l’attuazione del diritto ad una “dolce morte” riconosciuto dalla Corte costituzionale in determinate condizioni nella sentenza 242/2019. L’associazione Luca Coscioni ieri ha presentato i punti «irrinunciabili» su cui il comitato referendario intende costruire alcune proposte di emendamenti «a beneficio di tutti i parlamentari di ogni schieramento politico». Anche se Riccardo Magi, di +Europa, ha già detto che farà sue le proposte dei referendari.

Il primo punto è la «discriminazione tra malati, che pure hanno gli stessi requisiti di base», operata dal testo di legge che gioca al ribasso per cercare di ampliare il consenso verso destra, senza però averlo neppure ottenuto. Matteo Mainardi, coordinatore della campagna per l’eutanasia attiva, ha spiegato che la Pdl prevede solo un atto suicidario «autonomo» e perciò esclude automaticamente coloro che paradossalmente versano in una condizione più grave e hanno perso qualunque autonomia. Inoltre discrimina chi non è tenuto in vita da sostegni vitali pur avendo una prognosi infausta, come i malati terminali di cancro che sarebbero costretti ad attendere il peggioramento delle proprie condizioni. C’è poi un problema sulle cure palliative che secondo il testo base devono essere state intraprese dall’aspirante suicida e solo dopo esplicitamente rifiutate.

Altro punto dolente è la completa mancanza di una tempistica certa, cosa che rende una legge assolutamente inapplicabile, Il testo infatti prevede dieci passaggi: la richiesta autenticata, il tentativo e il successivo rifiuto delle cure palliative, un primo rapporto medico, il coinvolgimento del comitato etico, una prima verifica delle condizioni del malato, la decisione del comitato etico, la messa a punto della procedura da parte della Asl, un secondo accertamento medico-psicologico e solo infine l’atto suicidario. Ma solo uno di questi dieci passaggi ha un limite temporale, mentre il paziente ha tempo sessanta giorni per fare ricorso ad una delle decisioni prese riguardo la sua richiesta. In sostanza, potrebbe ripetersi anche con questa legge ciò che è successo a “Mario”, il paziente marchigiano tetraplegico, primo in Italia ad avere tutti i requisiti richiesti dalla Consulta eppure in attesa da 15 mesi di poter mettere fine alle proprie sofferenze.

Infine, l’obiezione di coscienza. «Una grande conquista ma dipende da come la si introduce», sottolinea Mainardi. «Qui hanno fatto il copia e incolla dell’obiezione come è nella legge 194». Eppure, «era possibile un’altra via»: per esempio mutuarla dalla norma introdotta nella legge 219 sul testamento biologico, dove «non c’è un lungo elenco di figure professionali sanitarie che possono opporre la propria obiezione di coscienza a prescindere dal caso, ma si prevede invece da parte del sanitario la possibilità di scegliere e decidere caso per caso se si è disposti a soddisfare la richiesta dell’aspirante suicida».
Filomena Gallo, la presidente del comitato promotore del referendum e Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Coscioni, hanno sottolineato poi le altre restrizioni del testo di legge rispetto alla sentenza della Consulta, come l’eliminazione della sofferenza solo psicologica tra i possibili requisiti necessari. Anche se, «dopo 37 anni dalla legge a firma di Loris Fortuna, finalmente il tema della morte volontaria approda in Aula».