Colpo di scena: a pochi giorni dall’anatema di Papa Francesco contro aborto e suicidio assistito, la procura di Massa ricorre in appello contro la sentenza di assoluzione di Mina Welby e Marco Cappato dall’accusa di istigazione e aiuto al suicidio per la morte di Davide Trentini, l’uomo malato di sclerosi multipla che nell’aprile 2017 è stato aiutato economicamente e accompagnato in una clinica Svizzera rispettivamente dal tesoriere e dalla co-presidente dell’associazione Luca Coscioni.

Nella sentenza del 27 luglio scorso la Corte d’Assise di Massa aveva rigettato la richiesta del pm Marco Mansi di una condanna a 3 anni e 4 mesi di reclusione basandosi sul pronunciamento della Corte Costituzionale che sul caso di Dj Fabo aveva configurato la non punibilità per chi aiuta un aspirante suicida che, tra l’altro, è sottoposto a «trattamenti di sostegno vitale». Secondo i giudici di Massa, questa condizione fissata dalla Consulta nella sentenza 242/19, «non significa necessariamente ed esclusivamente dipendenza da una macchina». Era il caso, appunto, di Trentini, che dipendeva da trattamenti farmaceutici senza i quali sarebbe morto, dolorosamente e lentamente.

«Prendiamo atto con rispetto – commentano i radicali Welby e Cappato che si erano autodenunciati per esplicitare la loro azione di disobbedienza civile – della decisione della procura di Massa di ricorrere in appello contro la nostra assoluzione», ricorso che «arriva pochi giorni dopo la lettera “Samaritanus bonus” (con la quale la Santa Sede ha definito un “crimine” l’aiuto a morire e ha bollato come “complici” coloro che partecipano a tale aiuto, materialmente o attraverso l’approvazione di leggi) e conferma la gravità dell’incertezza giuridica e della minaccia che incombe sui malati terminali italiani che vogliano sottrarsi a condizioni di sofferenza insopportabile».