La filosofia sociale che scaturisce dal Pnrr sembrerebbe ispirata all’idea che per riportare l’Italia su un sentiero di crescita stabile e durevole siano necessari dei controlli specifici ed accurati sulle politiche economiche. Questi controlli hanno assunto la forma di vincoli interni posti dallo stesso governo italiano ma presentati all’opinione pubblica come condizioni imposte dalle istituzioni europee.

Tuttavia, non c’è nessun documento europeo che impone all’Italia un ambizioso progetto di riforme della pubblica amministrazione, della giustizia, della semplificazione alla legislazione e promozione della concorrenza. Esistono delle raccomandazioni (non vincolanti) della Commissione europea sul programma di stabilità italiano, dove si legge per esempio che si consiglia di “affrontare le restrizioni della concorrenza, in particolare nel settore del commercio al dettaglio e dei servizi alle imprese” e dove non appaiono riferimenti alle grandi riforme e non si nominano esplicitamente nemmeno i servizi pubblici locali.

Il Ddl sulla concorrenza del governo Draghi, presentato come una conditio sine qua non per accedere alle risorse del Pnrr, dedica un ampio spazio proprio alla privatizzazione dei servizi pubblici locali. Eppure, tutti gli economisti più esperti di questa materia sono concordi nel ritenere che perché l’attività delle imprese operanti nel settore dei servizi di pubblica utilità conduca all’efficienza è necessaria una qualche forma di controllo dell’autorità pubblica (alcuni motivi sono stati passati in rassegna su queste pagine da Romano nella sua analisi del 7 novembre).

La visione distorta del reale, diffusa irresponsabilmente nel nostro Paese da gran parte della stampa, consiste nel trattare le concessioni di gestione nel settore delle public utilities come se si parlasse di un possibile mercato concorrenziale. La verità incontestabile è che in questi settori l’esposizione alla concorrenza è per definizione debole o assente, altrimenti non sarebbero necessarie le concessioni pubbliche.

I fallimenti delle privatizzazioni sono al centro di molti studi pubblicati dalle migliori riviste di economia pubblica. Si può ricordare una ricerca molto nota agli addetti ai lavori condotta da Massimo Florio in Great Divestiture: Evaluating the Welfare Impact of the British Privatizations, 1979-1997 (MIT Press, 2006). Da questo testo si può ricavare un grande insegnamento molto attuale: un organismo che tassa e reprime, ma non eroga servizi, non potrebbe essere uno Stato che i cittadini sentano proprio.

Anche un campione del pensiero liberale, Vilfredo Pareto scriveva nel suo Corso di Economia Politica (1897): “Respingere l’intervento dello Stato in tali quasi-monopoli facendo appello alla regola astratta di laisser faire, laisser passer, è semplicemente abbandonarsi a speculazioni metafisiche. … L’intervento dei poteri pubblici in certi servizi, quali gli omnibus, i tram, le somministrazioni di acqua e di gas, ecc. può essere o non essere necessario. È l’esperienza, sono i fatti che debbono risolvere la questione”.

Ed è proprio dell’esperienza e dei fatti – fatti che mostrano spesso l’inefficienza e i costi sociali prodotti dalle privatizzazioni delle public utilities – che questo governo sembra disinteressarsi completamente, accecato da un atteggiamento ideologico che stenta ad uscire dalla stanza dei bottoni: il mercato concorrenziale è condizione necessaria per raggiungere l’efficienza economica. Federico Caffé nel 1986 scriveva a proposito di concorrenza e servizi di pubblica utilità: “Sorte come forme di diffusione della democrazia al livello locale, le imprese che provvedono a fornire servizi pubblici non dovrebbero ignorare che loro funzione storica – particolarmente necessaria in un periodo come quello che il nostro paese sta attraversando e in cui appare veramente difficile non rendersi conto delle tendenze autoritarie in atto – non si realizza con procedure di separatezza, ma con un processo di maggiore coinvolgimento, partecipazione ed elevazione del livello di consapevolezza civica degli operatori.”

Ma dimentico di queste sagge parole il governo va avanti, più interessato alle pressioni lobbistiche degli imprenditori-rentier europei che alla democrazia partecipativa. È questa la via per una crescita economica stabile e durevole?

*Università di Bergamo