Tanto rumore per nulla, verrebbe da dire. A Helsinki Matteo Salvini era arrivato mercoledì sera per il vertice dei ministri degli Interni dell’Ue forte di una proposta comune messa a punto con Malta per la gestione degli sbarchi e per fermare le navi delle ong che salvano i migranti nel Mediterraneo. «Vado a difendere i confini dell’Italia», aveva annunciato il ministro al momento della partenza. Toni decisamente diversi da quelli sentiti ieri quando, al termine di una serie di incontri bilaterali, il leghista ha dovuto prendere atto che al documento presentato con il collega maltese Michael Farrugia se ne contrapponeva un altro preparato da Francia e Germania nel quale si continua a spingere sul principio del «porto sicuro più vicino» dove far approdare i migranti, lasciando così la responsabilità della loro gestione ai Paesi del Mediterraneo. Posizioni talmente distanti da rendere impossibile anche solo pensare di poter arrivare a una dichiarazione comune dei 28 su una delle questioni più calde del vertice finlandese. «Non voterò mai un documento che dica che tutti arrivano a casa mia», afferma il leghista alla fine della giornata. Malta, Italia, Francia e Germania torneranno a confrontarsi in un vertice a quattro convocato per settembre alla Valletta, ma intanto il ministro francese Christophe Castaner ha proposto di proseguire la discussione lunedì a Parigi con i colleghi degli Esteri e degli Interni di almeno 15 Paesi. «Se Malta e Italia, che sono i Paesi direttamente interessati dallo sbarco, pensano che questo accordo sia opportuno, in quel momento penso che avremo un successo», ha detto Castaner.
Per quanto informale, l’attenzione intorno al vertice dei ministri degli Interni che si conclude oggi in Finlandia era molto alta. La politica dei porti chiusi decisa dal governo gialloverde ha reso sempre più urgente trovare una situazione alla questione degli sbarchi e il fatto che neanche questa volta si sia riusciti a raggiungere un accordo non fa che confermare le divisioni esistenti tra i 28. «Le posizioni politiche dei Paesi sono legittime, ma quello che mi interessa è evitare che gli uomini e le donne muoiano in fondo al mare», ha chiarito Castaner riaffermando la necessità – sostenuta anche dalla neo presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen – di soccorrere i barconi in fuga dalla Libia.
Parole che suonano come una difesa del lavoro svolto dalle navi delle ong e proprio per questo lontanissime dal documento messo a punto da Roma e La Valletta nel quale, invece, si sottolinea come sia «necessario porre immediatamente fine all’attività sistematica in mare per soccorrere gli stranieri nelle acque che rientrano nelle competenze dei Paesi terzi», ma anche impedire che in futuro possa accadere di nuovo che «una nave privata» identifichi autonomamente il «porto di sbarco di migranti non identificati». «Fatta salva la necessità di proteggere la vita umana – sostengono Italia e Malta – è ormai assodato che i trafficanti sfruttano le regole della Sar (l’area di ricerca e salvataggio, ndr) per facilitare la loro attività criminale».
Nel documento si chiede inoltre di procedere ad una distribuzione obbligatoria dei migranti tra gli Stati membri, espulsioni gestite a livello europeo e la creazione di una lista di Paesi sicuri in modo da rendere automatici i rimpatri.
Il timore del Viminale è che se dovesse passare quanto proposto dall’asse Parigi-Berlino, a partire dal principio del porto sicuro più vicino come punto di approdo per i migranti, le cose per l’Italia non cambierebbero. Dopo lo sbarco verrebbero infatti distribuiti in Europa solo coloro che hanno diritto all’asilo, lasciando tutti gli altri ai Paesi di primo approdo che dovrebbero farsi carico dei rimpatri. Timori più che giustificati, visto come vanno le cose in Europa e vista l’opposizione che molti Stati, a partire da Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia, i quattro di Visegrad alleati di Salvini, hanno sempre opposto al principio delle quote.