Dopo venti mesi di stallo Pristina e Belgrado riprendono a dialogare con la mediazione dell’Ue dopo il tentativo, naufragato, di concludere un accordo sotto l’egida degli Stati Uniti. Il vertice che si terrà oggi a Bruxelles è stato preceduto da incontri e videoconferenze organizzati dal presidente francese Emmanuel Macron e dalla cancelliera tedesca Angela Merkel.

LE PREMESSE non lasciano ben sperare. Le posizioni di Pristina e Belgrado sono apparse inconciliabili. La delegazione kosovara guidata dal premier Avdullah Hoti ha posto una serie di condizioni che non lasciano margine di trattativa. Oltre al riconoscimento reciproco, Hoti ha chiesto «la soluzione della questione delle persone scomparse, il pagamento delle riparazioni di guerra e la regolamentazione dei rapporti economici». Altrettanto drastica la posizione di Vucic per il quale i colloqui «sono privi di senso» se il loro obiettivo è l’indipendenza del Kosovo.

IL DIALOGO tra Pristina e Belgrado si era interrotto nel novembre 2018 quando l’allora premier del Kosovo Ramush Haradinaj aveva imposto dei dazi del 100% sulle merci serbe in risposta alla campagna promossa dalla Serbia per impedire l’ingresso del Kosovo come nazione indipendente in organismi internazionali. La mossa di Haradinaj aveva congelato le discussioni in corso su un accordo di scambio di territori, caldeggiato dall’amministrazione Trump e da una parte dell’Ue. Con tale accordo a Belgrado sarebbe andato il Kosovo del Nord, regione a maggioranza serba, e a Pristina la Valle di Presevo, regione a sud della Serbia a maggioranza albanese. Ma la proposta si è infranta contro l’opposizione della Germania che vedeva in quello scambio un precedente pericoloso, l’apertura del vaso di Pandora dei nazionalismi vivi evegeti nei Balcani. Di fronte alle oscillazioni delle cancellerie europee l’inviato americano per il dialogo Pristina – Belgrado Richard Grenell ha preso l’iniziativa, prima siglando accordi per il ripristino dei collegamenti ferroviari e aerei tra i due Paesi, poi organizzando un incontro che avrebbe dovuto tenersi lo scorso 27 giugno alla Casa Bianca tra Thaqi, Vucic e Trump per annunciare il raggiungimento di accordi per rafforzare la cooperazione economica. La mossa ha fatto storcere il naso a Bruxelles perché esclusa.

[do action=”citazione”]L’incontro però è saltato dopo l’annuncio della Corte speciale dell’Aja dell’incriminazione di Thaqi per crimini di guerra e contro l’umanità.[/do]

UNA NOTIZIA che ha fermato l’azione americana e rimesso in pista l’Ue che si è riattivata per superare l’impasse e scongiurare una volta per tutte lo scambio di territori. Dunque il momento non sembra dei più propizi. Il governo di Hoti, nato dopo una crisi istituzionale che ha visto coinvolti presidenza e governo del Kosovo, non gode di una legittimazione interna tale da consentirgli di condurre un negoziato di questa portata. Inoltre l’incriminazione di Thaqi, convocato lunedì all’Aja per un interrogatorio che dura da tre giorni, ha provocato una forte scossa nel Paese e ha inasprito il confronto con la Serbia. Pristina teme che le accuse a Thaqi possano gettare un’ombra sinistra sulla storia della sua indipendenza, e indebolire così il Paese nei negoziati. Non a caso – e questo la dice lunga sulle aspettative di giustizia internazioanel – a difendere Thaqi è nientemeno che Jeffry Nice, il vice procuratore d’accusa nel processo a Milosevic all’Aja. Al contrario di Hoti, Vucic ha un mandato pieno, rafforzato dal trionfo bulgaro alle elezioni di giugno; ma per lui il riconoscimento del Kosovo resta la conditio sine qua non per l’avanzamento nell’adesione all’Ue. Vucic però non può tornare a casa a mani vuote, soprattutto ora che è alle prese con una crescente contestazione popore interna – sui silenzi sul Covid e ora sul ripristino dell’emergenza.

ORA LA QUESTIONE del Kosovo è entrata anche nel dibattito delle presidenziali in America. Per Joe Biden la risoluzione della controversia non può prescindere dal coinvolgimento dell’Ue né può mettere a repentaglio l’integrità territoriale del Kosovo. Biden ha poi promesso di fare l’esatto contrario di Trump: concludere un accordo di concerto con l’Ue che preveda il mutuo riconoscimento di Serbia e Kosovo. Grenell ha risposto accusando l’amministrazione Obama di non aver riportato alcun successo in politica estera e ricordando gli accordi raggiunti da Trump per il ripristino dei collegamenti ferroviari e aerei tra Pristina e Belgrado. Un eventuale insuccesso dei negoziati mediati da Bruxelles potrebbe spingere Trump a fare un estremo tentativo pur di portare a casa l’accordo. Altro ruolo chiave nei futuri assetti della regione è quello della Russia. Inizialmente favorevole allo scambio di territori, Mosca si è poi messa di traverso dopo l’abbraccio di Vucic alla Cina, reso ancor più evidente con l’emergenza sanitaria. Non è un caso che i quotidiani filogovernativi serbi abbiano attribuito all’intelligence russa la responsabilità dei disordini a Belgrado.