Da ex banchiere Mario Draghi ha un approccio all’immigrazione, almeno quella regolare, prevalentemente collegato all’economia e ai benefici che possono derivare dalla presenza nel nostro Paese di lavoratori stranieri. Anche guardando al futuro. «La popolazione in età da lavoro diminuirà gradualmente nella prossima decade» spiegò nel 2016 intervenendo da presidente della Bce al Brussels economic forum. Sottolineando come l’integrazione dei migranti se non proprio risolto, avrebbe comunque aiutato a frenare il calo demografico che da anni affligge l’Italia (nel 2019, secondo uno studio della Fondazione Leone Moressa, a fronte di 6,5 bambini ogni mille abitanti nati da coppie italiane, se ne sono registrati 12,6 da coppie di origine straniera). Senza contare, nello stesso anno, i benefici per le casse dello Stato derivanti dalla presenza di 5,3 milioni di stranieri regolari, il 48% dei quali risulta occupato.

Complessivamente la ricchezza prodotta da chi ha scelto di vivere nel nostro Paese è stata di 147 miliardi di euro, pari al 9,5% del Pil, un tesoretto di cui fanno parte 26,6 miliardi di euro di entrate fiscali (13,9 sono i contributi previdenziali e sociali pagati dagli stranieri, sempre secondo lo studio della Fondazione Moressa).

Tutti numeri che il premier conosce bene, e che potrebbero avere un peso anche per quanto riguarda i futuri arrivi, tanto più adesso che il decreto immigrazione varato dal governo Conte 2 non prevede più un tetto massimo annuale all’ingresso dei lavoratori stranieri nel decreto flussi.

Diverso il discorso se si parla di immigrazione irregolare. Quale sarà la politica del governo di fronte agli arrivi di migranti sulle nostre coste? La riconferma al ministero dell’Interno di Luciana Lamorgese, la ministra che ha messo fine alla politica dei porti chiusi di Matteo Salvini e accelerato le procedure di sbarco dalle navi delle ong, risponde già in parte alla domanda, anche se non in maniera definitiva.

Contrariamente infatti a quanto accadeva solo fino a qualche settimana fa, l’immigrazione sembra essere sparita dall’agenda politica del Paese. Non se ne è praticamente parlato neanche durante le consultazioni avute da Draghi con le delegazioni dei partiti e chi ha provato ad accennarne non avrebbe ricevuto risposta. Il che, naturalmente, non significa che il premier non conosca bene i drammi che si ripetono ogni giorno nel Mediterraneo centrale e che quanto accaduto pochi giorni fa con la nave Ocean Viking, che ha salvato 422 migranti sbarcandoli poi ad Augusta, non possa ripetersi presto (la Open Arms è in mare e la prossima settimana anche la Sea Watch 3 dovrebbe arrivare nel Canale di Sicilia).

Dunque? «L’uomo è per il rispetto delle regole in qualsiasi campo, e l’immigrazione non fa eccezione», spiega un senatore che ha incontrato Draghi durante le consultazioni. Stando così le cose allora è probabile che i porti continueranno a restare aperti. Ben tre convenzioni internazionali, quella della Nazioni unite sul diritto del mare del 1982, quella per la sicurezza della vita in mare del 1974 e quella sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979, sanciscono infatti non solo l’obbligo per gli Stati di soccorrere quanti si trovano in pericolo di vita in mare, ma anche quello di far arrivare i naufraghi in un porto sicuro escludendo i Paesi nei quali «la loro vita e la loro libertà sarebbero minacciate». Un esempio per tutti, la Libia.

Sul fronte europeo è quasi scontato che il nuovo premier dovrà, con la ministra Lamorgese, spingere perché si rimetta mano al Piano su immigrazione e asilo presentato dalla Commissione Ue in cui, dietro il paravento di una presunta solidarietà europea, si continua a lasciare tutto il peso dell’immigrazione ai Paesi di primo approdo. Il parlamento europeo ha appena cominciato a discutere una riforma del regolamento di Dublino, ma nonostante le pressioni a fare in fretta da parte della Commissione passeranno mesi prima che si possano raggiungere dei risultati. Che comunque dovranno passare per il Consiglio Ue dove oggi basta l’opposizione di pochi, come è successo in passato, per far saltare tutto.

Difficile, infine, non registrare l’incognita Salvini. Pur di far parte del governo Draghi il leader della Lega si è limitato a chiedere il rispetto delle norme europee per quanto riguarda l’immigrazione, riferendosi ai maggiori controlli delle frontiere esterne. Ma cosa farà se le navi delle ong dovessero intensificare le azioni di soccorso? Piuttosto di apparire agli occhi dei suoi elettori come esponente di una maggioranza che non ferma gli sbarchi, lasciando questo ruolo a Fratelli d’Italia, alla fine potrebbe decidere di mettersi di traverso. Ieri Salvini ha già lanciato i primi segnali di inquietudine. Non era passata neanche un’ora da quando Draghi aveva letto la lista dei ministri e in televisione ha avvertito: «Su alcuni temi serve discontinuità: Lamorgese e Speranza o cambiano marcia o avranno bisogno di aiuto e sostegno, mettiamola così».