Regge alla perfezione il patto tra il Pd e il Movimento 5 Stelle per l’elezione di Silvana Sciarra alla Corte Costituzionale e Alessio Zaccaria al Csm; resta fuori la candidata di Berlusconi Stefania Bariatti. Scatta la solidarietà tra grillini e democratici anche in commissione giustizia al senato e i voti del primo partito di maggioranza e del primo di opposizione si uniscono per respingere gli emendamenti del Nuovo centrodestra e dei berlusconiani al disegno di legge sulla responsabilità civile dei magistrati. Se tre indizi fanno una prova, per tutta la giornata di ieri ne mancava appena uno per poter dichiarare ufficialmente aperta la nuova fase della legislatura, quella dell’intesa tra democratici e 5 stelle. Almeno fino a quando lo stesso Renzi non annunciava che «il patto del Nazareno scricchiola, altroché». Dunque Berlusconi va e Grillo viene? Calma.
Più che di una nuova fase è giusto parlare di una vecchia minaccia – quella che Renzi ha sempre fatto a Forza Italia: o ci state o mi rivolgo altrove – che prendere corpo quando i grillini non scappano. Mentre le truppe berlusconiane si sfaldano. I due fenomeni si incrociano, tanto che se il risultato della Consulta è frutto innanzitutto della crisi forzista, il patto «scricchiola» proprio perché l’ex Cavaliere non appare più in condizione di tenerlo in piedi. E Renzi conquista la posizione andreottiana di arbitro nella classica politica dei due forni.

Per l’elezione dei giudici della Consulta Forza Italia va nel caos: ai parlamentari arriva prima l’indicazione di votare solo per la professoressa Bariatti, poi si aggiungono anche i nomi di Sciarra e del prescelto dai grillini per il Csm, Zaccaria. Quest’ultimo poi sparisce, una volta chiaro che i grillini non avrebbero ricambiato il favore votando Bariatti. Conclusione: passano solo i candidati Pd e M5S, Forza Italia perde per strada 45 parlamentari che in ogni caso non sarebbero bastati a eleggere la propria candidata. Perché come hanno dimostrato cinque mesi e venti scrutini a vuoto, questo parlamento approfitta delle occasioni a voto segreto per prendere fiato dal giogo governativo, dunque solo un accordo a tre – Pd-Fi-M5S – offre garanzie di successo. Franchi tiratori e assenti diplomatici ce ne sono anche nel Pd (nostalgici di Violante) e nel M5S (duri e pure del non si stratta). Così una giudice è ancora da eleggere e Forza Italia affronterà la votazione da una posizione di debolezza, anche se il Pd subito garantisce «disponibilità». Intanto i grillini danno per morto il patto del Nazareno, se ne attribuiscono il merito e accusano il Pd di essersi deciso tardi. Il Pd sostiene l’opposto: siete voi che finalmente collaborate. Un dato certo è che i 5 stelle hanno mantenuto il candidato iniziale al Csm, quello che i democratici nelle prime votazioni si erano rifiutati di votare.

Nella seduta notturna tra mercoledì e giovedì l’altro incrocio tra avversari, sull’argomento della responsabilità civile dei magistrati che ha già visto in passato maggioranze andare in crisi. Il ministro Orlando segue il provvedimento da vicino in commissione, ed è tanto preoccupato da minacciare continuamente un decreto se il senato non rispetta le indicazioni del governo, che sono il frutto di una mediazione complicata con l’Associazione magistrati. Il guardasigilli si trova davanti due emendamenti ostili ma firmati da parlamentari di maggioranza. Il primo proposto dal relatore Buemi introduce l’obbligo per i giudici di rispettare la giurisprudenza della Cassazione o di motivare adeguatamente le sentenze difformi. Il secondo del Ncd introduce la responsabilità contabile per i magistrati. Per superare gli ostacoli il Pd ha bisogno del voto dei consiglieri grillini e un attimo dopo il capogruppo degli alfaniani Sacconi minaccia le dimissioni. Fino a che non riceve rassicurazioni direttamente da Renzi, e riferisce: «Non si produrranno più maggioranze diverse sulla giustizia». Il ministro intanto garantisce: si è trattato solo di «un incidente di percorso dovuto a confusione». Ma il problema c’è tutto e si riproporrà in aula.