La tempesta di neve che si è abbattuta sulla East Cost americana potrebbe costare un rinvio dell’annuncio da parte della Casa bianca dei dazi contro la Cina previsto per oggi.

IERI A WASHINGTON (e New York, altra metropoli colpita) tra voli annullati ed edifici pubblici – scuole comprese – chiusi, si è provveduto perfino ad annullare tutti gli eventi previsti nella residenza del presidente degli Stati uniti. In attesa dell’annuncio però, per quanto riguarda i rapporti tra Cina e Stati uniti, la temperatura è salita e neanche di poco.

DI CHE DAZI PARLIAMO? Secondo quanto è emerso si tratterebbe di misure contro l’import cinese degli Stati uniti, capaci di bloccare circa 60 miliardi di dollari di spesa per Washington (principalmente per prodotti tecnologici e della telefonia made in China). La legge americana prevede che non sia il presidente Usa ma il funzionario che si occupa di commercio a decidere l’importo facendo riferimento ai danni causati dalle pratiche scorrette delle Cina.

DELLE RESTRIZIONI non dovrebbero fare parte decisioni contro gli studenti cinesi delle università americane: Trump – secondo i media americani – sarebbe preoccupato perché il provvedimento rischierebbe di punire le università americane, che vedrebbero scendere di molto le loro iscrizioni.

Neve o meno, da Pechino invece i toni si sono alzati già ieri. Intanto, come messaggio indiretto che ai cinesi piace sempre, una portaerei cinesi ieri si è fatta vedere nello stretto di Taiwan, in concomitanza con il durissimo discorso di Xi Jinping contro i tentativi di «dividere» la Cina e dopo l’annuncio della missione diplomatica Usa nell’isola che Pechino considera ancora «ribelle» e dunque da riconquistare (come e quando non è dato saperlo, ma i cinesi non mettono in dubbio il finale di questa storia). E sui dazi naturalmente la Cina ha già messo le mani avanti.

«LA CINA PRENDERÀ MISURE attive per tutelare i suoi interessi e quelli delle sue imprese in risposta agli atti di protezionismo degli Stati uniti», ha sottolineato il vice ministro del Commercio Wang Shouwen che ha definito la mossa di Washington «un atto unilaterale di protezionismo».