Dovremmo tutti concentrarci in Italia sui siti archeologici che cadono a pezzi, il taglio continuo dei finanziamenti. E sulla mancanza totale in molti territori. Ogni manifestazione culturale «di consumo» dovrebbe essere finalizzata a illustrare questa drammatica situazione. Invece accade troppo spesso il contrario con un distacco netto tra consumi culturali/spettacolari e strutture. Non va bene e stiamo pagando ormai da tempo un prezzo salatissimo per questa totale incuria.

Qualcuno tuttavia non si arrende e prova a dare un senso non strettamente effimero al consumo culturale. Parliamo dello Sponz Fest di Vinicio Capossela che ha calamitato l’attenzione di migliaia di persone sulla direttrice della ferrovia Avellino-Rocchetta Sant’Antonio, storica tratta di penetrazione dell’Irpinia in Basilicata e Puglia, realizzata a fine Ottocento grazie alla lotta di personalità di rilievo tra cui Francesco De Sanctis, e sospesa poco meno di quattro anni fa unilateralmente dall’assessore ai trasporti della giunta di centro destra della regione Campania Sergio Vetrella con complicità varie. «Mi sono sognato il treno» è stato infatti il titolo dell’edizione di quest’anno (la seconda) dello Sponz Fest, manifestazione allestita lungo alcune stazioni della ferrovia in Alta Irpinia e in alcuni Comuni tra cui Calitri, paese d’origine del cantautore e centro organizzatore della manifestazione.

Per undici giornate lo Sponz a fine agosto ha proposto decine e decine di eventi. Il festival dedicato allo sposalizio («sponz» sta per «sponzarsi», termine dialettale che allude al giorno del banchetto, ma qui viene usato nel senso metaforico del sudore, del «lasciarsi andare») diviso in tre sezioni: concerti, rassegna cinematografica, installazioni d’arte. Con l’aggiunta di dibattiti vari a cui hanno partecipato tanti giornalisti e studiosi tra cui Remo Ceserani (autore di Treni di carta, sul rapporto tra ferrovia e letteratura), protagonista insieme al cantautore di una bella discussione tra i binari della stazione di Lioni.

E indubbiamente, nonostante il successo delle manifestazioni (ma per l’amor di dio via l’ennesimo e banale concorso dalla rassegna cinematografica…), svoltesi nel centro storico di Calitri col gran concerto finale di Vinicio Capossela, le installazioni d’arte rigorosamente sullo sposalizio di Adrian Paci, Claudia Losi, Mariangela Capossela, il festival cinematografico di corti dedicato alle storie «di coppia» interamente allestito sui binari, è stato il momento emotivamente più coinvolgente.

La stazione di Conza/Andretta/Cairano, ripulita e resa scenario di una piccola epopea western, con la sala di ricovero delle carrozze trasformata in saloon in cui sono avvenute proiezioni di documentari, inediti e non, e film classici (Come vinsi la guerra di Buster Keaton); la sala d’attesa adibita a mostre; i marciapiedi tra i binari trasformati in ristorante all’aperto; i binari usati come sedi di performance, letture, set di fotografi (Mario Dondero, tra gli altri), passeggiate. Il tutto intorno al grande palco che domina la scena e dove si sono esibiti tanti artisti: i Tinariwen del Mali, le Fanfare Ciocarlia della Romania, i suoni del deserto di Tucson nella chitarra di Howe Gelb, Otello Profazio, la Banda della Posta, i Makardia, un applauditissimo Robyn Hitchcock. E con Vinicio Capossela a fare da presentatore ma anche a regalare agli spettatore ogni sera i brani del suo ormai ricchissimo repertorio.

Ascoltare Mario Dondero intonare nella stazione di Conza, e con che voce a 86 anni!, Fischia il vento per intero accanto a un Capossela senza parole, è stato di per sé un avvenimento. Dondero, venuto a esporre e ritirare l’importante premio fotografico Flauto d’argento ad Avellino, ha voluto visitare per due volte il festival alla stazione di Conza colpito dai paesaggi evocativi e da un’opera ferroviaria che è semplicemente criminale lasciar morire e non rilanciare invece adeguatamente.

Il fotografo milanese ha tenuto un’appassionata arringa in difesa dell’antica strada ferrata: «Il treno è un luogo magico dove si fanno incontri d’amore formidabili». E dopo gli intensi (fino all’alba) quattro giorni della stazione di Conza, dove persino letture di classici russi fatte tra i binari (Vincenzo Cinaski) e reading di Dan Fante (figlio di John) sono state affollate di giovani, Calitri ha offerto un bellissimo viaggio nel rebetiko di Dimitris Mistakidis, chiacchierate con Luigi Di Gianni su Ernesto De Martino e il meridione che fu, performances di donne del paese sulla loro vita e sui loro ricordi di coppia, la proiezione integrale di quasi cinque ore de Il tempo dei gitani di Emir Kusturica.

Il finale del concerto di Vinicio Capossela con la Banda della Posta ha visto la partecipazione di migliaia di giovani e non provenienti da varie regioni, mentre gruppi musicali attraversavano il particolare centro storico di Calitri raccontato recentemente nei romanzi di Vito De Nicola. Poi c’è l’ultimo concerto, quello dell’ «addio ai binari» (si fa per dire) di Giovanna Marini e Francesca Breschi al casello ferroviario di San Tommaso, oggi occupato in comodato da una famiglia. Un casello già attraversato nei giorni precedenti da un suggestivo concerto dei Guano Padano.

Al tramonto, tra un mirabile ponte in ferro e il fiume Ofanto a scorrere vicino, centinaia di persone sedute sui binari hanno ascoltato con emozione i capolavori del canto sociale. E forse più emozionato di tutti è stato Capossela stesso che ha letto un pezzo del meridionalista Giustino Fortunato, attento studioso allora delle «strade ferrate ofantine».

Un pezzo in cui parla di civiltà portata dalla ferrovia in questa valle dell’Ofanto. «Il treno non c’è ma ciò che è importante – ha concluso il cantautore – è che in questi undici giorni abbiamo percorso questi binari, ci siamo ricordati che esistono, che sono un bene di tutti, come molte canzoni ci hanno ricordato. Una ferrovia realizzata con sacrificio e investimento, che diede onore all’Italia come disse Fortunato, deve essere sentita come un bene comune che è doveroso reclamare. Un enorme patrimonio che c’è e che è un grande spreco dare alle ortiche e al degrado.

Questi giorni passati insieme spero vi facciano ricordare che la ferrovia non è cosa morta, ma è viva a patto che noi la rendiamo viva. Trovarsi dentro a una bellissima struttura come la stazione di Conza-Andretta-Cairano, o in prossimità di miracoli di ingegneria come i ponti che attraversano questa tratta, sono cose che rinnovano lo stupore. In un mondo di agglomerati urbani di alta cementificazione e densità abitativa, il vuoto è il polmone di questo nostro territorio, un vuoto che va coltivato affinché non si trasformi in abbandono, una realtà che ci permette di respirare, di immaginare».

Il successo di una manifestazione come lo Sponz che ha avuto il merito di riportare al centro dell’attenzione il problema della dismissione di una ferrovia, deve ora spingere associazioni, gruppi politici e gente comune a prendere in mano la situazione e lottare per il recupero dell’antica strada ferrata. Sarebbe un segnale forte e chiaro lanciato al paese, un’Italia che andonato le ferrovie locali (fatiscenti dove ancora resistono…) preferendo gli inquinanti trasporti su gomma. Chissà, forse Pasolini l’aveva azzeccata quando parlò di «forza rivoluzionaria del passato»…