Caro direttore, sollecitato dall’articolo del dott. Roberto Romano, pubblicato il 25 febbraio con il titolo “La competitività e il silenzio dell’Istat“, le chiedo cortesemente di ospitare questo testo auspicando che possa essere ritenuto d’interesse per i lettori del manifesto.

La competitività di un sistema produttivo è un fenomeno complesso, multidimensionale e mutevole nel tempo. Ed è per questa ragione che l’Istat nel 2013 ha deciso di pubblicare un Rapporto annuale tematico, imperniato sull’individuazione e monitoraggio di 70 indicatori, riguardanti una vasta gamma di attività d’impresa, in un’ottica sia strutturale sia congiunturale: domanda di lavoro, demografia d’impresa, risultati economici, innovazione, ricerca, internazionalizzazione, struttura dei settori ecc…

A questi si accompagna un indicatore sintetico (Isco), che riassume alcune dimensioni rilevanti della competitività (competitività di costo, redditività, innovazione ed export), comparando ciascun settore con l’evoluzione del quadro economico complessivo.

Dall’esame di questo set di indicatori, emergono chiaramente tutte le problematiche cui fa cenno anche il prof. Romano: la carenza d’investimenti, la debolezza della ricerca e sviluppo nelle imprese, la insufficiente dinamica dell’output e della produttività ecc.

Di contro sono riscontrabili anche numerosi aspetti positivi, relativi, in particolare, all’evoluzione della propensione innovativa delle imprese e alla loro penetrazione e competitività sui mercati esteri. Non vi è stata pertanto alcuna omissione nella scelta e presentazione dei dati statistici: essi sono, letti tutti insieme, i più idonei per cogliere gli aspetti rilevanti della competitività del nostro sistema produttivo.

Dal punto di vista analitico, il ruolo del Rapporto è quello di approfondire ogni anno un argomento di particolare rilevanza, individuato di volta in volta sulla base dell’evoluzione dell’economia e del dibattito economico.

Nelle edizioni precedenti, abbiamo spiegato le caratteristiche strutturali dell’apparato produttivo e i comportamenti/struttura/strategie che determinano il successo o l’insuccesso delle imprese e il loro contributo alla crescita del Paese. Per l’edizione del 2016, questo percorso analitico ha condotto a concentrare l’attenzione sulla ripresa della domanda di lavoro e sui fattori esplicativi della recente dinamica occupazionale (tra gli altri, ad esempio, la produttività e l’esposizione sui mercati esteri, così come le valutazioni/reazioni delle imprese ai provvedimenti di policy).

I risultati delle analisi hanno dato risposte chiare, misurando l’impatto occupazionale di alcune fondamentali dimensioni (produttività e internazionalizzazione) e le reazioni alle policy da parte della imprese e mostrando con evidenza il ruolo esercitato dalle diverse specializzazioni settoriali.

Emergono nitidamente anche gli altri fattori, alcuni richiamati da Romano quali l’intensità di conoscenza e il contenuto tecnologico dei settori.

Nel terziario, i nuovi posti di lavoro sono stati, infatti, creati con maggiore intensità in settori a elevato contenuto di conoscenza, ma anche in alcuni comparti dei servizi alla persona. Ciò rispecchia le pressioni della domanda proveniente dal sistema produttivo e di quella che deriva da processi strutturali di cambiamento della composizione dei consumi; nell’industria la creazione di posti di lavoro è stata più intensa in comparti ad alta e media tecnologia (farmaceutica, meccanica) ma anche in comparti tradizionali (pelli).

L’impatto di queste dinamiche occupazionali sull’evoluzione della produttività aggregata è complesso e passa, come il Rapporto ben evidenzia, anche attraverso processi di riallocazione dell’occupazione e dell’output a favore delle imprese più produttive.

Fermarsi all’”aritmetica macroeconomica” può essere, in questo caso, poco proficuo per la capacità di comprensione dell’evoluzione del sistema produttivo.

*L’autore è Direttore Dipartimento statistiche economiche dell’Istat

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