Ha fatto vacillare l’autonomia, messo in crisi le certezze, ha fatto dubitare della stessa libertà. Ma sull’altro piatto della bilancia, la pandemia ha poggiato la consapevolezza della fragilità e la necessità della cura, che riguardano tutti senza esclusioni. E, ancora, ha portato uno stile diverso del fare cultura, ancora più trasversale e inclusivo. Tutti elementi anticipati da tempo nel festival triestino Rose Libri Musica Vino, giunto alla decima edizione e dedicato a chiunque non veda ancora oggi garantiti i propri diritti.

LA SCELTA DEL SETTING non è marginale: il Parco di San Giovanni di Trieste, un tempo ospedale psichiatrico cittadino e poi luogo di nascita di prospettive nuove, humus fondante per la rivoluzione basagliana del 1978.

ALCUNE VOCI PROTAGONISTE della rassegna, organizzata dalla Cooperativa Agricola Monte San Pantaleone in collaborazione con l’Università degli Studi di Trieste, sono state raccolte nel libro Rose Libri Musica Vino – duemilaeventi, curato da Patrizia Rigoni (EUT Edizioni Università di Trieste, 2020, 117 pag., 12 euro). Filosofi, architetti, botanici, medici, scienziati, naturalisti, giornalisti, musicisti, vignaioli. Sono venticinque gli autori a cui è stato chiesto di disegnare orizzonti a partire da valori comuni che affondano le radici proprio in quel momento storico, il ‘78, che ha restituito la parte sana a chi era stata negata, dando vita a un nuovo modo di pensare alla cura.

DA ALLORA, DALLA CHIUSURA del manicomio, Trieste si riappropriò anche di uno spazio verde grande 22 mila ettari, che è stato rivisto nei dettagli e oggi ospita uno dei roseti più importanti d’Europa, con più di 6000 piante. Ed è proprio qui che, ogni primavera, si dibatte di diritti delle donne, dei migranti, dei minori, delle vittime di mafia.

TRA LE TESTIMONIANZE raccolte nel libro, quella di Alessandra Marin, architetta e ricercatrice in pianificazione territoriale e sviluppo locale: «La cura per il giardino cresciuto tra i muri del manicomio – scrive – diventa così buona pratica per quella del giardino planetario, spazio educante per le generazioni che lo attraversano». Umberto Curi, professore di storia della filosofia all’Università di Padova, mette in evidenza il cum racchiuso nella parola confine. «Parla di un rapporto – evidenzia Curi – più ancora che di una separazione».

STEFANO AMADEO, professore di diritto dell’Unione Europea all’Università di Trieste, fa un confronto con l’esclusione dei cittadini extraeuropei e dei rifugiati, «ultimo muro giuridico e mentale da abbattere». Ma nel testo, c’è anche il punto di vista di Matteo Giraldi, un operatore dell’Agricola Monte San Pantaleone che ha visto crescere il festival «a partire da una carriola, quattro sgabelli e due calici, lentamente, anno dopo anno».

L’EDIZIONE 2021, IDEATA da Patrizia Rigoni, prenderà vita nei quattro venerdì di maggio (nei giorni 7, 14, 21 e 28) , con uno schema collaudato: una presentazione di un libro, un momento musicale e una degustazione di vino. Il tutto ambientato, come sempre, nel roseto, cuore del Parco di San Giovanni. Il tema di quest’anno è «la cura», termine che ha assunto nuovi significati e che verrà declinato in senso etico, filosofico ma anche architettonico e naturalistico.

TRA GLI OSPITI Barbara Schiavulli, giornalista di guerra e direttrice di Radio Bullets, Franco Rotelli, psichiatra e collaboratore di Franco Basaglia, Luisella Battaglia, docente di Filosofia morale e bioetica all’Università di Genova e all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Andreina Contessa, direttrice del museo storico del Castello di Miramare, e Baroukh M. Assael, docente di Pediatria all’Università di Milano.

SARANNO DUECENTO i posti a sedere, nel rispetto delle misure di sicurezza, con la possibilità di seguire gli incontri anche online. Un evento che rappresenta un faro, pronto a illuminare il primo mese caldo dell’anno per riconciliare le persone con la terra, senza escludere nessuno.

(Per le prenotazioni: www.montepanta.it).