Uno dei pochi paesi ancora apparentemente esenti dal coronavirus è diventato l’epicentro dell’ansia che sale di giorno in giorno nel Sudest asiatico, il «cortile di casa» della Cina, dove i bollettini medici nazionali si aggiornano senza interruzione.

Un cinese di 44 anni di Wuhan – colpito dal virus insieme alla compagna – e morto il primo febbraio all’ospedale San Lazaro di Manila, primo caso nelle Filippine di 2019-nCoV ma anche prima vittima fuori dalla Cina – ha fatto esplodere la paura ma anche una sorta di isteria anticinese.

Una paura che ha contagiato il governo del presidente Duterte, che inizialmente si era rifiutato di sigillare i voli con la Repubblica popolare e che è noto per le sue posizioni filocinesi: domenica è tornato sui suoi passi e ieri negli scali filippini 300 passeggeri diretti in Cina, Hong Kong e Macao si sono visti i voli cancellati mentre le associazioni cinesi dell’arcipelago hanno iniziato a denunciare episodi di sinofobia, senza contare la ridda di notizie false quanto roboanti che iniziano a circolare un po’ dovunque sui social.

Con 80 casi sotto osservazione, a Manila c’è stato anche un piccolo giallo per un cinese di 29 anni dello Yunnan morto il 29 di polmonite. Si è scoperto poi che era negativo al 2019-nCoV ed era invece sieropositivo.

Nonostante la lista del contagio si aggiorni senza sosta (spesso con numeri discordanti tra fonti cinesi e nazionali dei singoli Stati) gli episodi di sinofobia restano limitati mentre si susseguono semmai gli inviti alla calma e alla cooperazione. È fuor di dubbio però che sul fronte della guerra non dichiarata all’Impero di mezzo, che conta diversi adepti nelle élite e negli strati popolari del Sudest, si fanno passi avanti.

Il Vietnam ha dovuto fare i conti con la prima vietnamita contagiata: è una giovane addetta ai servizi di accoglienza della città costiera di Nha Trang, una delle mete preferite dal turismo cinese adesso in affanno e con cancellazioni di pacchetti di viaggio in continuo aumento.

In Laos invece, tutto è tranquillo e anzi il Laboratorio nazionale di epidemiologia, che aveva in osservazione undici casi, ha fatto sapere ieri che soltanto due sono risultati positivi al test. Situazione calma anche in Myanmar e in Indonesia, che ha fatto rientrare da Wuhan 243 cittadini: sottoposti al test, sono risultati non infetti. Ma sia Naypyidaw sia Giacarta hanno chiuso i voli con la Cina.

La Thailandia, che col Giappone condivide in Asia il maggior numero di casi, manda invece una buona notizia. Due medici dell’ospedale Rajavithi di Bangkok – i dottori Kriangsak Atipornwanich e Subsai Kongsangdao – hanno rivelato alla stampa locale di aver registrato miglioramenti in una donna di 71 anni 48 ore dopo la somministrazione di un cocktail di medicine: l’Oseltamivir, un farmaco antinfluenzale usato per curare la Mers-CoV (Middle East respiratory syndrome-related coronavirus) e due retrovirali per la cura dell’Aids, Lopinavir e Ritonavir (i retrovirali sono stati sperimentati anche in Cina).

Dopo 48 ore dalla somministrazione dei farmaci la paziente, dicono i medici, ha mostrato segni di un rapido recupero.