Accordi stracciati ed elezioni entro sei-nove mesi. Il giorno dopo il massacro dei manifestanti in Sudan, il generale Abdel Fattah al Burhan, capo del Consiglio militare di transizione (Tmc), aggiunge una spericolata mossa politica che sembra destinata ad aumentare tensione e confusione. Anche perché viene accompagnata da accuse simili a quelle che la controparte, l’ampia coalizione di associazioni e partiti politici denominata Forze per la libertà e il cambiamento (Fcc), è solita rivolgere ai militari: continuità con il vecchio regime, spirito contro-rivoluzionario, metodi anti democratici e addirittura disprezzo per i diritti umani.

Sono dichiarazioni che fanno a pugni con il bilancio dell’assalto contro i dimostranti inermi condotto all’alba di lunedì dalle Rapid Support Forces. Ieri si parlava di almeno 35 morti, tra i quali un bambino di otto anni. Il Comitato centrale dei medici del Sudan (Ccsc), una delle componenti dell’Associazione dei professionisti sudanesi (Spa) che dal dicembre scorso – con il precipitare della crisi economica e la stretta sui diritti – guida la protesta, denuncia l’assedio da parte dei soldati agli ospedali della città in cui sono ricoverati i feriti, rendendo difficile anche aggiornare il reale numero delle vittime.
In più vengono confermate le numerose testimonianze già emerse lunedì, sui corpi gettati nel Nilo dai paramilitari che hanno condotto l’assalto. Il culmine della loro azione di forza sarebbe avvenuto proprio lungo Nile Street, non lontano dal luogo del sit-in permanente – spazzato via armi alla mano – in cui era stata trasformata la mobilitazione nazionale contro Omar al Bashir. E che neanche dopo l’arresto del presidente aveva smobilitato, essendo chiarissimo il tentativo dei generali del Tmc di mantenere la presa sul potere in vista di una lunga transizione.

Gli «accordi» che ora i militari hanno deciso di cestinare sono quelli riguardanti la composizione di un Congresso provvisorio, ma su chi avrebbe effettivamente controllato il potere esecutivo da qui alle elezioni, ipotizzate fra due-tre anni, l’intesa era ancora lontana. I generali reclamavano un ruolo decisamente da protagonisti, mentre le Fcc – sostenute dalla piazza – insistevano sul trasferimento del governo in mani civili. Ora che il muro contro muro ha avuto un ulteriore sigillo di sangue, la rottura è completa.

In risposta alle misure annunciate da al Burhan c’è l’invito a una «disobbedienza civile totale» rivolto alla popolazione e c’è la proclamazione dell’ennesimo sciopero generale. «Sui leader e i membri del Consiglio militare di transizione – recita un comunicato delle Fcc – ricade la responsabilità criminale per il sangue che è stato versato dall’11 aprile (data d’insediamento della giunta, ndr). Lavoreremo affinché con la vittoria della rivoluzione sudanese possano essere giudicati in modo imparziale».

Sembra andare nella direzione opposta il nuovo colpo di mano dei militari, che possono ancora contare sull’appoggio dell’Arabia saudita ma non su quello degli Stati uniti.