Alla fine il golpe in Sudan è avvenuto. Il regime del presidente Omar Hassan al-Bashir, al potere dal 1989, è terminato ieri per mano dell’esercito, in coordinamento con il ministro della Difesa e vicepresidente del paese, Ahmed Awad Ibn Auf.

NEL PRIMO MATTINO i militari si sono posizionati nei punti strategici della città: hanno circondato il palazzo presidenziale, presidiato i ministeri e occupato gli edifici dell’emittente radiotelevisiva di stato. La tv nazionale ha quindi trasmesso parate militari per l’intero mattino. Poi l’annuncio che al più presto ci sarebbe stata una dichiarazione ufficiale in merito agli avvenimenti in atto.
Contemporaneamente, un crescente numero di persone è tornato a riversarsi per le strade della capitale Khartoum, in attesa di capire chi avesse operato il colpo di stato e con quali intenzioni. I presidi popolari sorti il 6 aprile scorso – giorno in cui si è svolto il più grande corteo contro Bashir dall’inizio delle proteste, lo scorso dicembre – sono tornati così a nuova vita, provando questa volta adm esercitare il massimo della pressione politica sui militari che hanno preso il potere.

Il presidente Bashir è stato messo in stato d’arresto ed è in un «luogo sicuro» sotto il controllo dell’esercito. La medesima sorte è toccata alle personalità più influenti del regime, tra cui il capo del governo ed ex vicepresidente Ali Osman Taha, l’ex ministro della Difesa Abdel Rahim Mohammed Hussein e diversi esponenti del National Congress Party, il partito di governo, a partire dal leader Ahmed Harun. In totale – riporta al Arabiya – si parla di un centinaio di arresti.

LE NOTIZIE della conseguente dismissione del regime trentennale hanno inizialmente provocato un’ondata di gioia tra i manifestanti, felici di osservare i risultati di quattro mesi di intense mobilitazioni.

 

Alaa Salaa nel ruolo di “regina nubiana”

 

Se da un lato le proteste sono costate più di 60 morti e migliaia di giovani ragazzi e ragazze rinchiusi nelle galere sudanesi, dall’altra parte tali mobilitazioni di massa nelle principali città del paese hanno aperto nuove potenzialità: sono emersi inediti ruoli di protagonismo individuale e collettivo, tra cui spicca la straordinaria partecipazione delle donne di cui si è potuta finalmente sentire la voce potente. Sintetizzata nell’immagine della «regina nubiana», la 22enne studentessa di Ingegneria Alaa Salaa rilanciata dai media di tutto il mondo mentre arringa la piazza e invita i militari ad assecondarne le aspirazioni.

Purtroppo però, l’entusiasmo collettivo ha subìto un repentino raffreddamento quando sono state chiarite le intenzioni dell’esercito: il Sudan, ha affermato Awad Ibn alla tv nazionale, sarà dotato di un governo di transizione della durata di due anni. Più precisamente, il paese sarà governato da un Consiglio militare le cui prime decisioni riguardano l’istituzione di uno stato di emergenza di tre mesi e di un coprifuoco notturno tra le 22 e le 4 del mattino, oltre alla chiusura provvisoria dello spazio aereo e dei confini.
I giovani sudanesi hanno prontamente espresso la loro indignazione inondando i social network con messaggi del tipo: «Non ci bastano le dimissioni del presidente. Vogliamo cambiare tutto!».

La formazione di un governo militare è stata nettamente bocciata dall’Associazione dei professionisti sudanesi (Spa), principale promotrice delle proteste anti-Bashir. Da qui l’invito a portare avanti il sit-in in corso da giorni davanti al quartier generale delle Forze armate a Khartum.

AL NETTO DELLA RICHIESTA di uno stato sociale più forte e di riforme economiche, la domanda politica dei manifestanti è quella di una celere transizione a un governo civile, tramite elezioni democratiche. Sarà difficile quindi che il Consiglio militare potrà godere del consenso di coloro che hanno riempito le strade delle città sudanesi in questi mesi. La situazione corrente apre perciò a scenari incerti e potenzialmente convulsi.

Usa e Unione europea hanno chiesto una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.