È un negoziato sulle montagne russe quello in corso ormai da due mesi tra una piazza in mobilitazione permanente e i militari che hanno preso il potere in Sudan dopo l’arresto del presidente Omar al Bashir.

Ogni volta che l’accordo sembra a un passo, c’è qualcuno che si mette a sparare tra i dimostranti: sei morti a metà maggio, altri tre tra i quali una donna incinta negli ultimi giorni. A quel punto il Consiglio militare di transizione comincia a dire che vanno liberate le strade per ripristinare la sicurezza, ma i manifestanti e i loro rappresentanti – coalizzati nelle Forze per la libertà e il cambiamento (Fcc) – obiettano che è tutta una manovra per smobilitare con le buone o le cattive il grande presidio che dallo scorso 6 aprile brulica di folla proprio davanti alla sede delle Forze armate, nella capitale, esercitando una pressione tangibile sulla giunta.

 

Il presidio h24 davanti al quartier generale dell’esercito (Afp)

 

Le varie anime del movimento che giorno e notte hanno sostenuto la protesta malgrado minacce e intimidazioni lo hanno detto chiaro: toglieranno le tende solo quando il potere esecutivo passerà in mani civili e quando si faranno da parte i generali espressione del vecchio regime, che è entrato in crisi solo grazie a mesi e mesi di manifestazioni nelle strade del paese, con tante vittime, libertà soppresse e violenze diffuse da parte delle forze di sicurezza. Un regime che fin qui si è solo parzialmente autopurgato, per assumere un profilo più presentabile.

Non abbastanza, secondo l’opposizione, riunita in un un fronte talmente ampio che un giorno avrà forse il problema di trovare una sintesi. Già oggi si registra il defilarsi del partito Umma, poco propenso a far salire ulteriormente la tensione, in occasione dello sciopero che in settimana ha paralizzato il paese per due giorni. Qualche preoccupazione in più, con il passare delle ore, serpeggia in verità anche nel sit-in della capitale, dove volontari cercano d’impedire che s’infiltrino provocatori armati. Secondo i militari il presidio è diventato un centro di «attività criminali» e non verrà più tollerato.

Alla pari quindi dell’ufficio di corrispondenza di al Jazeera a Khartoum, chiuso senza troppi complimenti. Un gesto che illustra bene, caso mai ce ne fosse bisogno, lo spirito liberticida e anche le amicizie (saudite) di questa giunta.