Neanche il mandato d’arresto della Corte penale internazionale aveva impensierito tanto Omar al Bashir.

Il presidente sudanese, al potere da quando, 29 anni fa, rovesciò da colonnello il governo di Sadiq al Mahdi (e che però ancora nel 2015, alle ultime elezioni, si è “democraticamente” riconfermato con uno schiacciante 94,5%), si trova a fronteggiare una rivolta sociale senza precedenti partita dalla città di Atbara una settimana fa, che quotidianamente occupa le strade anche nella capitale Khartoum. La dura reazione della polizia anti sommossa ha provocato fin qui 12 morti “ufficiali”, cifra che Amnesty lunedì rettificava in «almeno 37». Il bilancio degli scontri che ancora ieri infuriavano intorno al palazzo presidenziale, con uso di gas lacrimogeni e pallottole «a salve», è fermo al momento in cui scriviamo a «decine di feriti».

Le rivendicazioni sono principalmente economiche: aumenti dei generi alimentari (triplicato il prezzo del pane) e della benzina al posto delle riforme promesse e neanche mai illustrate da al Bashir. «Le masse hanno capito che c’è una forte relazione tra economia e politica» ha detto Sidki Kabilo del Partito comunista sudanese a al Jazeera. Un fronte di opposizione mai così unito, che comprende i sindacati e gli islamisti moderati del partito Umma, punta ormai apertamente a rovesciare il regime.