Scarcerati e subito deportati in Sud Sudan i tre esponenti del Movimento di liberazione popolare del Nord-Sudan «Agar» (Splm-N Agar) arrestati nei giorni scorsi dalle autorità di Khartoum. Il numero 2 Yasir Arman, il segretario Ismail Jalab e il portavoce Mubarak Ardol erano appena rientrati dall’esilio per finalizzare gli accordi relativi al conflitto nel Sud Kordofan e nel Blue Nile. E sono parte integrante dell’ampia coalizione delle Forze per la libertà e il cambiamento (Fcc) che si oppone alla prospettiva di un governo militare di transizione in Sudan. Ancor più dopo il massacro di manifestanti inermi compiuto lunedì scorso dalle Rapid Support Forces (Rsf), note in passato come «Janjaweed».

Agli oltre cento morti denunciati dalle opposizioni se ne sono aggiunti altri 4 domenica, primo giorno della «disobbedienza civile totale» e dello «sciopero generale a oltranza» proclamato dalla Associazione dei professionisti sudanesi (Spa), principale sigla della sollevazione iniziata sei mesi fa e culminata con la rimozione di Omar al Bashir in aprile, per rispondere alla mano dura adottata dal Consiglio militare di transizione (Tmc) e senza esporre i manifestanti al rischio di nuove mattanze.

«Questa nuova fase terminerà solo quando un governo civile verrà annunciato alla tv di stato», recita una nota dell’alleanza anti generali. Ieri ancora strade deserte, mercati, banche, negozi, tutto chiuso. Anche l’aeroporto ha funzionato a singhiozzo e non sono mancati arresti e intimidazioni contro i lavoratori in sciopero.