Al 27esimo giorno di scontri non si ferma la violenza che sta sconvolgendo il Sudan. L’aviazione, saldamente nelle mani dei governativi del generale Al-Burhan, ha martellato le posizioni dei paramilitari nelle zone residenziali di Khartoum, Khartoum North e Omdurman cercando di costringere le Forze di Supporto Rapido di Mohamed Hamdan Dagalo ad abbandonare i siti strategici occupati dal 15 aprile, inizio del conflitto.

LA POPOLAZIONE ha riferito di battaglie per le strade in diversi quartieri della capitale, mentre la città gemella di Omdurman è sotto il fuoco dell’artiglieria controllata dagli uomini di Dagalo. Le Rfs hanno affermato che il palazzo presidenziale, luogo simbolo del potere sudanese, sarebbe stato distrutto dai bombardamenti dell’aviazione, ma alcune immagini di droni riportate da Reuters sembrano smentire questa affermazione. La furia dei combattimenti non ha risparmiato nemmeno lo zoo di Khartoum dove secondo il direttore Sara Abdalla gli animali sarebbero tutti morti di fame o sotto le bombe, compreso un vecchio coccodrillo che viveva nel giardino zoologico da decenni.
La guerra civile sudanese non si concentra soltanto sulla capitale: coinvolge ben 12 su 18 province, ma gli scontri più duri sono in Darfur dove si registrano oltre cento vittime. A Geneina, capitale della provincia, le tribù arabe combattono al fianco delle Fsr e usano la situazione per regolare vecchi conti con gli abitanti tribali della regione. Ieri a el Obeid, capoluogo del Kordofan settentrionale a circa 350 chilometri da Khartoum, un battaglione dell’esercito ha affrontato per le strade i paramilitari del luogo dando vita ad un sanguinoso conflitto. Il corrispondente di Al Jazeera ha riportato testimonianze di corpi abbandonati lungo le strade della capitale perché gli ospedali sono quasi completamente stati distrutti dai combattimenti. Il World Food Programme ha lanciato l’allarme per altri due milioni e mezzo di persone che, a causa del conflitto, potrebbero scivolare nella fame portando a 19 milioni il numero di sudanesi che necessitano di aiuti per sopravvivere.

L’AGENZIA UMANITARIA Islam Relief ha ribadito l’impossibilità di far pervenire aiuti a Khartoum per l’estrema insicurezza di tutte le vie di comunicazione. Gli aiuti umanitari provenienti dall’Unione europea e dagli stati del Golfo Persico sono fermi a Port Sudan, l’unica via di accesso sicura del Paese, mentre secondo le Nazioni unite circa 700mila persone hanno già dovuto abbandonare le proprie case e oltre 150mila hanno lasciato il Paese.

Intanto a Gedda da sabato vanno lentamente avanti le trattative fra i rappresentanti dei due generali che stanno dilaniando il Sudan. Per la prima volta, dopo tanti cessate il fuoco non rispettati, sembra che sia sul tavolo una reale possibilità di tregua, almeno umanitaria. Questi colloqui, fortemente voluti da Stati uniti ed Arabia Saudita, vedono i negoziatori cautamente ottimisti in vista dell’apertura di veri corridoi umanitari che possano risparmiare almeno i civili. Il Senato Usa ha esortato la nomina di un inviato speciale per il Sudan e la sottosegretaria di Stato Victoria Nuland si sta impegnando personalmente per tenere aperta la trattativa, anche se secondo un diplomatico saudita un cessate il fuoco definitivo non è nemmeno all’ordine del giorno perché entrambi i contendenti sono convinti di poter vincere sul campo.

PROPRIO DAL CAMPO invece arrivano notizie di continue diserzioni fra le fila dei paramilitari, con alti ufficiale che hanno schierato le loro truppe al fianco dell’esercito abbandonando le Forze di supporto rapido. Mentre a Port Sudan alcune centinaia di membri della tribù Beja hanno manifestato chiedendo di essere armati per andare a combattere al fianco dei governativi con il rischio di allargare ancora di più il conflitto.