Quella che era stata salutata come la svolta storica nel panorama politico sudafricano ancora fortemente condizionato da strette razziali, non ha trovato neanche il tempo di manifestarsi che è già stata risucchiata nel buco nero di vecchie seppur sempre vive questioni di mancata integrazione.

Per dirla in termini strettamente di realpolitik, l’idillio tra la Democratic Alliance (Da) e la leader del giovane partito Agang, Mamphela Ramphele, attivista antiapartheid del Black Consciousness Movement ed ex partner di Steve Biko, è durato appena 5 giorni.

Dopo che domenica la leadership della Da ha annunciato la marcia indietro di Ramphele come suo candidato presidenziale alla prossima tornata elettorale ormai alle porte, lunedì in una conferenza stampa a Johannesburg è stata la stessa Ramphele a comunicare di essere tornata sui suoi passi. «Alcuni non trascendono la politica di partito» ha detto Ramphele, spiegando che «le persone sono intrappolate nella politica basata sulla razza».

Sarebbe stato lo sfidante nero dell’African National Congress per la Da, il partito a stra-maggioranza bianco che non riesce a scrollarsi di dosso l’anatema di essere il portavoce degli interessi della minoranza bianca. Non solo, la sua candidatura sarebbe stata anche la prima al femminile ad ambire alla prima carica dello stato in un paese in cui la violenza di genere raggiunge i più alti picchi su scala mondiale. Una donna nera figlia della lotta al sistema politico di segregazione della minoranza bianca in lizza contro il partito storico, l’Anc, che del cammino verso la libertà incarna tuttora i sogni e le premesse. Forse troppo per una società che vive ancora dell’idea di Mandela per non restare travolta dalle divisioni che non trovano il modus né politico né economico di amalgamarsi.

«Ho creduto che avevamo l’opportunità di trascendere la politica di partito e di impegnare i sudafricani in una conversazione sul futuro, ma l’ultima settimana ha dimostrato che per alcuni questo nuovo modo di pensare il nostro futuro sarà difficile da raggiungere in questo momento», ha detto Ramphele. Parole che tracciano lo stato dell’arte del Paese più che risuonare come vuoti pentagrammi politici dalle solite note di partito.

La porta verso l’integrazione è ancora molto stretta in Sudafrica e passa attraverso le politiche per l’educazione, le stesse che furono sistematico veicolo di forte radicamento delle strutture di segregazione, a partire dagli ambiti portanti della struttura sociale e del potere economico. Lo sapeva bene Mandela che nel suo testamento, di cui si è data lettura ieri, ha lasciato in eredità 100 mila rand ciascuno – del suo patrimonio di 46 milioni di rand (4,13 milioni di dollari) – a università e scuole secondarie tra cui la Qunu Secondary School e la Orlando West High School. Nonché royalties all’Anc da utilizzare a discrezione del comitato esecutivo per diffondere informazioni sui principi e le politiche del partito, soprattutto sulla riconciliazione.