In Sudafrica si oscilla tra l’orgoglio per l’abilità scientifica dimostrata dal Paese, che ha subito reso pubblici i dati e lanciato l’allarme in seguito al preoccupante aumento dei casi in alcune aree del Paese, a partire dalla regione del Gauteng, dove si trovano sia la capitale finanziaria Johannesburg, sia quella istituzionale Pretoria, e la rabbia per le misure prese a caldo dall’Europa, non fondate su dati scientifici che si
stanno ancora analizzando.

Con indici di contagio relativamente bassi il numero di casi confermati in Sudafrica è aumentato improvvisamente in una settimana portando il tasso di positività ad avvicinarsi alla barriera del 5%. Indicazione, secondo il National Institute for Communicable Diseases (NICD), che la situazione è fuori controllo. L’aumento dei casi registrati – 700 domenica 21, quasi 2.500 giovedì 25 – si ritiene sia in gran parte dovuto alla nuova variante.

NON È LA PRIMA VOLTA che in Sudafrica si rilevano nuove varianti. Lo stesso era già successo in con la variante Beta durante la seconda ondata nel luglio 2021. Ma c’è anche una forte sensazione che la nazione venga ingiustamente punita per i suoi successi. Vale la pena ricordate che il Sudafrica, insieme all’India, nell’ottobre 2020 è stato l’originario proponente alla deroga temporanea alla proprietà intellettuale (PI) durante la pandemia da applicarsi a strumenti e tecnologie mediche Covid-19, fino al raggiungimento dell’immunità di gregge.

IN UNA SERIE DI TWEET il professor Tulio de Oliveira direttore del Centre for Epidemic Response & innovation della Stellenbosch University ha affermato che «il mondo dovrebbe fornire sostegno al Sudafrica e all’Africa e non discriminare o isolare questi Paesi. Proteggendoli e sostenendoli, proteggeremo il mondo». Fa appello a miliardari e istituzioni finanziarie perché intervengano finanziando la ricerca a cui gli studiosi si stanno dedicando 24 ore su 24 per comprendere gli effetti su trasmissibilità, vaccini, reinfezione, gravità della malattia e diagnostica.

 

 

Il programma di vaccinazione del Sudafrica ha subito un rallentamento negli ultimi mesi, non per mancanza di rifornimenti, ma a causa dell’indifferenza pubblica. Si stima che il 42% della popolazione abbia avuto almeno una dose e circa i due terzi degli ultrasessantenni siano stati vaccinati. Il numero di persone resistenti al vaccino è alto e i dibattiti pubblici sono simili a quelli che si registrano in Europa sulla legittimità del divieto a negato ingresso nei luoghi di lavoro e di svago, oltre che della obbligatorietà del vaccino. Gli esperti sperano infatti che la variante possa aiutare a incoraggiare più persone a farsi vaccinare.

DOPO LA RE)INCLUSIONE del Sudafrica nella red list dei paesi con destino vietato nel Regno unito tutti i 27 Stati membri dell’Unione europea hanno concordato sulla necessità di attivare la pausa di emergenza e sospendere temporaneamente i voli in partenza da Sudafrica, Lesotho, Botswana, Zimbabwe, Mozambico, Namibia, Eswatini e Zambia con indicazioni poco chiare su quando i divieti verranno revocati.

Il ministro degli Esteri sudafricano Naledi Pandor ha parlato di mossa «precipitosa» e ha esortato Londra a «riconsiderare la decisione». Il Sudafrica era stato tra gli ultimi a uscire dalla red list con enormi conseguenze economiche ma anche sociali, visto il numero di cittadini con legami famigliari tra i due Paesi.

Un’analisi del settore turistico ha stimato che il Sudafrica ha perso 26 milioni di rand (1,6 milioni di dollari; 1,2 milioni di sterline) per ogni giorno nella lista rossa del Regno Unito. Pandor ha inoltre affermato che i divieti sono contrari alle norme e agli standard dell’Organizzazione mondiale della sanità. Già nel pomeriggio di venerdì c’erano stati contatti per un primo dialogo tra il primo ministro britannico Boris Johnson e il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa per trovare un accordo.

A LASCIARE PERPLESSI è la rapidità con cui la decisione è stata presa, prima dell’esistenza di dati concreti sulla pericolosità della variante. Anche il New York Times lo dice: «Non ci sono ancora prove che la variante sia più contagiosa o letale, o che possa diminuire il potere protettivo dei vaccini (…) In passato, i governi hanno impiegato giorni, settimane o mesi per emettere restrizioni di viaggio in risposta a nuove varianti». La domanda sorge spontanea: sarebbe lo stesso se fosse successo in un paese dell’emisfero nord?

Tutto questo mentre la vera preoccupazione dovrebbe essere rappresentata dal potenziale impatto della variante nel caso si dovesse diffondere in altre regionni del continente dove, in media, è stato vaccinato circa il 3% della popolazione.