I musical sono film sfarzosi, magniloquenti, sinonimo di produzioni ricche piene di comparse e fotografia coloratissima. Musical ti fa pensare a Grease di Randal Kleiser, interpretato da John Travolta e Olivia Newton-John (budget 6 milioni di dollari), a Hair del 1979, diretto da Miloš Forman, con la struggente Manchester England e il suo canto di morte e suicidio per una guerra fratricida (budget 11 milioni), alla follia di roller e deliri mistici di Xanadu del 1980 (budget 20 milioni di dollari), all’italiano Joan Lui di Adriano Celentano del 1985 sulla passione di Cristo in versione moderna (budget 20 miliardi di lire), senza dimenticare il classico West Side Story di Robert Wise e Jerome Robbins con una Nathalie Wood capace di farti innamorare (budget 6 milioni) o ancora il recente Il grande Gatsby di Baz Luhrmann, costato ben 105 milioni, e pura gioia per gli occhi.
Di certo musical non ti fa pensare a paesi indigenti, al massimo a Bollywood e all’India sfavillante, capace di far ballare persino i suoi attori in un poliziesco di calci e morti violente come l’incredibile Dabangg, successo popolare inarrivabile in patria. Eppure ci sono paesi sotto la linea di povertà che hanno sfornato film interessanti, il più delle volte, un pugno di pellicole che, come una sorta di Armata Brancaleone monicelliana, hanno dell’incredibile, del suicida, ma con un coraggio che manca ai fratelli cinematografici più ricchi. Eccoci davanti ai musical del sud del mondo.

MADE IN AFRICA
Di paesi anche noti come il «terzo mondo», espressione coniata agli inizi degli anni Cinquanta dallo scrittore francese Alfred Sauvy. Il primo mondo è composto dai paesi capitalistici occidentali e dall’Australia, il secondo è rappresentato dai paesi dell’ex area sovietica, tutto il resto sarebbe il «terzo modo». Negli anni il significato di questa espressione è profondamente cambiato. Oggi indica, in maniera generica, i paesi più poveri della terra. Sono nazioni in cui manca tutto: niente cibo, niente acqua potabile, cure mediche insufficienti, niente istruzione e lavoro. Terre molto diverse tra loro per cultura, storia, tradizioni, collocazione geografica.
Sono accomunate unicamente dall’estrema povertà in cui vive la popolazione e comprendono diversi paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America latina, caratterizzati soprattutto da un livello socio-economico arretrato, da un elevato tasso di incremento demografico e da un’economia prevalentemente agricola.
Difficile pensare a questi luoghi come nazioni dove possa attecchire un’industria cinematografica, eppure, come un fiore in un deserto, l’impossibile cede il posto all’improbabile, una cosa diversa e capace di germogliare anche in terre baciate dalla sterilità.
Coz Ov Moni è qualcosa di incredibile e scellerato: un musical, anzi, per dirla come le frasi di lancio, «Il primo musical pidgin», ignorato però dai maggiori siti di cinema mondiale come Imdb (Internet movie database). Per chi non lo sapesse il pidgin è un idioma derivante dalla mescolanza di lingue di popolazioni differenti, venute a contatto a seguito di migrazioni, colonizzazioni, relazioni commerciali, in questo caso si parla del Ghanaian Pidgin English (GhaPE), noto anche come Kru English, molto usato nell’Africa occidentale, nella Repubblica del Ghana, appunto. Artefici del progetto sono il duo rap Fokn Bois, al secolo Wanlov the Kubolor (Emmanuel Owusu Bonsu, cantante, rapper e chitarrista nato a Ploesti, Romania) e M3nsa (Bondzie Mensa Ansah, vocalist e tastierista), amici fin da bambini, uniti dalla passione per lo scoutismo e ovviamente dalla musica, in particolare Fugees, Busta Rhymes, reggae e hiplife. I due esordiscono appunto con Coz Ov Moni nel 2010, all’inizio doveva essere un semplice videoclip, poi le idee si rivelarono così tante da tramutare il tutto in un mediometraggio di ben 45 minuti, costellato da tanti numeri musicali. Il film affronta storie di vita ghanese allo sbando con al centro loro, due ragazzi come tanti, pieni di sogni, speranze e idee di vita facile e criminale che vanno verso un epilogo tragico, alla Martin Scorsese degli esordi, quello di Mean Streets. Il nome del gruppo viene da fokbois ovvero, in pidgin, un mascalzone, un buono a nulla. Oggi però, nel linguaggio dei giovani che gironzolano nelle vie più malfamate, si riferisce a «un fico», uno a cui bisogna dare retta o sono guai per tutti. Coz Ov Moni (letteralmente «Per colpa dei soldi») è ambientato ad Accra, e mostra una tipica giornata nella vita di due amici, appunto i Fokn Bois, mentre vagano per le strade, riscuotono debiti, corteggiano ragazze, nuotano nel mare e mangiano il piatto nazionale del Ghana, il fufu, una polenta a base di farina di manioca, che si usa per accompagnare salse di carne o di pesce. Il film diventa uno spaccato della vita quotidiana dei giovani del paese, una sorta di neorealismo africano che ci trasporta tra la miseria e la voglia inutile di riscatto, in una parte del mondo sconosciuta ai più. La maggior parte dei dialoghi sono conversazioni rappate o cantate, enfatizzate da partiture afro, reggae e dub a commento delle sequenze, mentre sullo sfondo vengono eseguite coreografie, povere ma non disprezzabili. Coz Ov Moni funziona su molti livelli: come album musicale di successo, come film divertente e frenetico, ma soprattutto come un pezzo che fornisce approfondimenti sulla società ghanese e sulla cultura giovanile.
Questa immagine del Ghana è molto più autentica di quella presentata dalla maggior parte dei loro colleghi rap africani, figli di realtà sintetiche filtrate da film e canzoni made in Usa, pieni di presenze femminili sexy, di abiti griffati e macchine costose, alla Fast and Furious, tutto terribilmente banale e noioso. A girare il regista King Lu, un carneade del quale si sa poco o nulla, anche a spulciare l’onnisciente internet.
Squadra che vince non si cambia, così dopo il successo del primo film, soprattutto grazie alla diffusione gratis tramite Youtube, a distanza di 3 anni esce, con la stessa troupe Coz Ov Moni 2 (Fokn Revenge)-The World’s 2nd 1st Pidgin Musical ovvero «Per colpa dei soldi 2 (La vendetta dei Fokn) – Il secondo primo musical pidgin al mondo». Stavolta la regia è meno anarchica e la durata più consistente, ben 63 minuti, ma la trama è sempre all’osso, stavolta ruota intorno alla vendetta dei due amici nei confronti di una gang nemica armata di machete, colpevole di morti e violenza.
Il film ha fatto il giro del mondo, molto apprezzato dalla critica e dal pubblico: ha esordito in Ghana il 23 dicembre 2013 al Ghana’s National Theatre di Accra, è stato presentato in anteprima negli Stati Uniti il 21 febbraio 2014 alla Cantina Royale di New York City e nel Regno Unito il 24 settembre 2014 all’Hackney Attic di Londra. Il musical è stato anche conteso da vari festival cinematografici, tra cui l’Africa International Film Festival, il Durban Film Festival, il Norient Musikfilm Festival e il Fantastic Fest. Successivamente è stato rilasciato in dvd, con il download gratuito della colonna sonora per ogni copia acquistata del film.
Scrive il critico Todd Brown del sito Twitch Film: «Coz Ov Moni 2 (Fokn Revenge) ha una bella regia, ha musiche fantastiche, e ti fa lasciare la sala con un magnifico sorriso di gradimento dopo i titoli di coda». Le canzoni sono molto lunghe e piene di cori, i numeri musicali sono ancora più ricchi e i testi più complessi, in un intero brano si prendono in giro gli accenti Usa e, a differenza del primo capitolo, ha almeno un momento di follia visionaria senza precedenti. Quasi in un incubo musicale alla Jodorowsky o alla Jesus Franco del cinema degenere, si materializza, in un plot assolutamente realista, il Conte Dracula che arriva a combattere contro… l’Uomo ragno, come se in Africa avessero lo stesso gusto dei primi 883, virato però sul macabro alla John Landis. Uno scontro così non si vedeva dai film turchi sui supereroi, soprattutto 3 Dev Adam di T. Fikret Uçak, nel quale Capitan America insieme al wrestler messicano El Santo deve combattere contro un malvagio Spiderman che terrorizza Istanbul: deliri irripetibili da cinema popolare.
A impreziosire il film la presenza, in forma di guest star, di alcune celebrità della scena musicale africana come Yaa Pono, Efya, Mutombo, Da Poet, Macho Rapper, Simpol Tingz, Suor Deborah, Papa Magro, Bryte, Awal, Teatro Hogof, Kwame Appah, Moskito, Kwame Partan e Tilapia.
Se i due film dei Fokn Bois erano però alla fin fine delle goliardate, a metà tra cinema e Mtv, lo stesso non si può dire di un altro film prodotto in Ghana, Sugar, del 2019, diretto dal regista africano Rex, specializzato in videoclip. La star del film è il cantante Dennis Nana Dwamena, meglio conosciuto come KiDi, qui nei panni quasi autobiografici di un musicista con la passione sfrenata per le donne, almeno finché non si innamora della collega Cina Soul. In un intreccio alla François Truffault in versione Blake Edwards, il film diverte per il ritmo e la regia brillante hollywoodiana, ma anche per le musiche che spaziano dall’highlife toccando l’afro-pop e il neo soul. L’alchimia tra i due protagonisti è elettrizzante, erotica e capace di riempire le sale di fan adoranti. Nel cast spiccano le apparizioni dei cantanti James Gardiner, Adjetey Anang, Fella Makafui, Kwesi Arthur, DKB, Richmond Amoakoh (Lawyer Nti), Kalybos, Dela Seade e Veana Negasi, molto apprezzati tra gli appassionati della musica moderna ghanese.

DACCA STYLE
Il Bangladesh è tra i paesi più densamente popolati del mondo (in un’area di circa 144 mila chilometri quadrati vivono ben 150 milioni di abitanti) e ha un elevato tasso di povertà. Di questo paese si è parlato negli ultimi anni soprattutto per due eventi: il crollo di un grande palazzo a Dacca, la capitale, che oltre a causare più di 700 morti ospitava uffici e magazzini di diverse aziende internazionali, e una serie di scontri, sempre a Dacca, tra le forze di polizia e i sostenitori del gruppo islamista Hefazat-e Islam. A differenza del Ghana, ha una cinematografia più vasta che contempla film anche meno recenti. Il primo musical che si conosce è Akash Ar Mati (The Sky and the Earth), un film in bianco e nero del 1959, diretto da Fateh Lohani. È stato il primo lungometraggio sonoro prodotto nel Pakistan orientale (ora Bangladesh) inclusa la post-produzione. Il regista, famoso soprattutto per la sua carriera di attore, si è ispirato per la sua opera a una serie di storie del drammaturgo Bidhayak Bhattacharya. Akash Ar Mati è un film di difficile reperibilità, pieno di momenti musicali, tematicamente ambizioso, ma anche tecnicamente lacunoso, girato senza estro. Resta comunque un esperimento pionieristico interessante, al di là delle sue qualità artistiche, impreziosito dall’interpretazione sentita dell’attrice Sumita Devi, la Greta Garbo del Bangladesh, e del popolare divo locale Aminul Haque.
Per vedere e ascoltare un altro notevole musical made in Bangladesh dobbiamo però aspettare il 2010, anno del melodramma Golapi Ekhon Bilatey, girato dal regista Amjad Hossain, già autore di successi locali come Golapi Ekhon Traine del 1978 e Golapi Ekhon Dhakai del 1994. Malgrado i titoli non siano collegati tra loro, sono comunque tutti e tre spaccati sociali che raccontano, in prospettive diverse, la situazione del Bangladesh, attraverso storie di gente comune. Golapi Ekhon Bilatey ha in più alcuni momenti musicali grazie alla presenza delle star di Bollywood Mithun Chakrabarti (373 film in curriculum), Shabnur, Ferdous, Ahmed Sharif, Prabir Mitra e Mithun Chakraborty. Il film è stato girato in diverse località, in Bangladesh, India e Londra, e racconta la situazione di alcuni immigrati in Inghilterra per lavoro, concentrandosi soprattutto su un gruppo di ragazze e il rapporto con una società diversa.
A interpretare la protagonista Mousumi, molto amata dalla critica e dal pubblico. Sempre molto apprezzato è stato anche Pleasure Boy Komola (Ghetu Putro Komola) del 2012, a un passo dalla candidatura all’Oscar, purtroppo scartato, che racconta una delicata storia di omosessualità e violenze sessuali. L’adolescente Jahir, in arte Komola, è un ghetu putro, un danzatore che si esibisce in abiti femminili durante gli spettacoli di musica popolare. Il termine significa letteralmente «ragazzo di piacere» e si riferisce alla barbara usanza, diffusa all’epoca tra gli uomini della classe più abbiente, di assoldare quei giovani, poco più che bambini, non soltanto in qualità di intrattenitori, ma anche come compagni sessuali.
Komola è chiamato a prestare servizio presso la lussuosa magione di Chowdhury, un signorotto locale arrogante e fintamente compassionevole, che vuole assicurarsi un passatempo per la lunga stagione delle inondazioni. In quella casa il ragazzo dovrà trascorrere tre mesi, subendo, oltre agli abusi del padrone, anche le crudeli gelosie di sua moglie. In un ambiente tanto ostile e pericoloso, Jahir potrà tuttavia contare sulla sincera amicizia della piccola Fulrani. Drammatico, toccante e musicato da struggenti musiche popolari, Ghetu Putro Komola di Humayun Ahmed è un film da riscoprire che purtroppo non ha raccolto la fama di pubblico di analoghi drammi storici come Addio mia concubina di Chen Kaige.
Meno sociale e più disimpegnato è Ki Jadu Korila del 2008, diretto da Chandan Chowdhury, che fin dalla copertina rivela la sua natura musicarella con i cantanti/attori Riaz e Sadika Parvin Popy in pose alla Al Bano e Romina Power del tragico Champagne in paradiso. Orecchiabili però i brani, molto pop, composti dal musicista Alam Khan con all’attivo ben 300 colonne sonore e 2mila canzoni. Il siparietto musicale più bizzarro della pellicola è Prem Koro Mon Khati Manush Chine, con ritmi arabeggianti, lo scenario bucolico e l’interprete Riaz, dalla capigliatura improponibile e i vestiti sgargianti, che si lancia in inni alla vita agricola mentre strimpella una chitarrina davanti agli occhi allibiti delle comparse contadine, magre e seminude. Se esiste una poetica del trash più genuino, Ki Jadu Korila ne è il rappresentante più iconico.

ECHI LONTANI
Altri paesi hanno sfornato musical in quantità incredibili, basti pensare al Messico con più di 50 pellicole e veri sottogeneri che spaziano dal dramma storico alla commedia pura. Sono però, per la maggior parte, pellicole derivate da altre filmografie, a volte non disprezzabili nella bizzarria come nel caso di Aventuras de Joselito y Pulgarcito del 1960, diretto dallo specialista di horror wrestler René Cardona. In questo caso la star è il cantante bambino Joselito in un melodramma che anticipa per certi versi Incompreso-Vita col figlio del 1966 di Luigi Comencini. Qui i momenti musicali sono tra i più zuccherosi e atroci mai uditi in un musical con in più la disgrazia di essere eseguiti per la maggior parte da un antipatico bambino, popolarissimo però in Messico.
Da citare anche ben 17 film pakistani tra i quali i migliori, in un’ottica di mediocrità quasi ricercata, sono Ghunghat del 1962 e Aina del 1977. Per quanto riguarda il primo, una trama che mescola il soprannaturale con una storia d’amore, si tratta di un’opera in lizza per la candidatura agli Oscar che alla fine non venne scelta ma che vinse diversi Nigar Awards, il corrispettivo dell’Academy in Pakistan, per il miglior attore, per la migliore musica, per il miglior cameraman e il miglior montaggio.
Aina, invece, uscito il 18 marzo 1977 nei cinema pakistani, fu un successo senza precedenti con un totale di 401 settimane di programmazione in Pakistan e 48 settimane solo nel cinema principale a Karachi.
La storia è il classico dramma amoroso con giovani fidanzati divisi dalle famiglie nemiche, ma a fare grande Aina sono le canzoni, molto orecchiabili, tra tutte la struggente Ghazal mujhay dil se na bhulana, cantata dall’iconica star nazionale Mehdi Hassan.
Inutile dire che tutte le pellicole qui citate non hanno mai avuto una distribuzione in Italia, anche quando si parla di opere al pari di Pleasure Boy Komola, notevoli dal punto di vista artistico e con una regia dal respiro internazionale. Chiunque si vorrà armare di pazienza e non si lascerà scoraggiare dalle lingue sconosciute, siano il pidgin o il pakistano, potrebbe stupirsi di come paesi così poveri siano così ricchi di immaginazione.