La nuova relazione sullo Stato di diritto nell’Ue, come del resto quella precedente, non contiene buone notizie soprattutto per quel che riguarda i casi rappresentati dalla Polonia e dall’Ungheria. I due paesi continuano a destare preoccupazioni per politiche considerate lesive dello Stato di diritto, non a caso nei loro confronti qualche anno fa sono stati avviati i preliminari per l’applicazione dell’articolo 7.

Se ci concentriamo su Varsavia menzioniamo subito il fatto che il 21 luglio scorso il ministro della Giustizia polacco Zbigniew Ziobro, ha parlato di impossibilità, per il paese, di conformarsi alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue. Sentenza secondo la quale il sistema vigente oggi in Polonia infrange il diritto comunitario e deve quindi essere sospeso.

Una dichiarazione che non smorza certo la tensione esistente fra Varsavia e Bruxelles. Otto giorni dopo Ziobro, che è anche procuratore generale e rappresenta il partito d’estrema destra Polonia Solidale (Solidarna Polska, SP), ha chiesto alla Corte costituzionale di valutare la compatibilità di un articolo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo con la Costituzione polacca, soffiando sul fuoco delle polemiche riguardanti le riforme giudiziarie nel paese. Si tratta dell’articolo 6 il cui contenuto prevede che “ogni persona abbia diritto a un’equa e pubblica udienza entro un
termine ragionevole da parte di un tribunale indipendente e imparziale istituito dalla legge”.

Secondo Ziobro questo articolo confligge con la Costituzione del paese in quanto consente alla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) di valutare la legittimità della nomina dei giudici e l’indipendenza della Corte costituzionale.

Entrambe le cose, secondo il guardasigilli polacco, sono di competenza esclusivamente interna. Per Ziobro la sentenza della CEDU che “mina la legittimità dei giudici nominati dalla Corte costituzionale polacca viola la sovranità della Polonia”. A suo avviso questa interferenza “rischia di creare il caos giuridico”.

A questo punto la Commissione europea ha dato tempo a Varsavia fino al 16 agosto per “regolarizzare” la sua posizione e adeguarsi alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue, secondo la quale il sistema polacco viola il diritto comunitario e pertanto andrebbe sospeso, come precisato all’inizio. Se Varsavia dovesse persistere nel suo atteggiamento teso a ignorare questa sentenza, la Commissione europea si rivolgerà alla Corte di Giustizia per imporre al paese sanzioni finanziarie.

Come nel caso dell’Ungheria, anche in quello della Polonia si parla di deriva autoritaria molto pericolosa. Del resto, la relazione sullo Stato di diritto nell’Ue, sostiene, relativamente al sistema giudiziario polacco che “Le riforme attuate dal 2015 hanno aumentato l’influenza dei poteri esecutivo e legislativo sul sistema giudiziario a scapito dell’indipendenza giudiziaria e ha portato la Commissione ad avviare la procedura di cui all’articolo 7, ancora in corso” (Fonte: Euractive).

Ma non basta, perché in un’intervista a Radio Wrocław, il ministro dell’Istruzione Przemisław Czarnek ha dichiarato che nelle scuole polacche verrà insegnato che l’Ue è un’entità illegale. Ha aggiunto che il governo prevede di aumentare nelle scuole, in prospettiva non molto lontana, il numero delle ore di studio per insegnare la storia fino al XXI secolo e trasmettere a studentesse e studenti “l’orgoglio nazionale del passato della Polonia”.

Un nazionalismo sempre più aggressivo che accomuna la situazione polacca a quella ungherese e aumenta la distanza fra i governi dei due
paesi e le istituzioni comunitarie. Non solo i due governi ma anche i loro sostenitori, ossia quella parte di Polonia e Ungheria che condividono l’orizzonte politico e culturale descritto dai loro leader nazionalisti.

La tensione esistente con Bruxelles è arrivata a far parlare di Polexit e Unghexit, ma nulla va dato per scontato anche perché in entrambi i paesi non sono irrilevanti le quote di popolazione che intendono restare nell’Ue, d’altra parte sembra che sia in Polonia che in Ungheria crescano le pulsioni cosiddette euroscettiche.

Comunque questi eventuali sviluppi non sono così vicini nel tempo e sia Varsavia che Budapest godono di notevoli vantaggi economici legati alla loro qualità di Stati membri dell’Ue.

Remano contro le rispettive agende nazionaliste le opposizioni politiche e sociali progressiste e promettono di dar battaglia sia Donald Tusk, sul fronte polacco, sia il fronte di sei partiti dell’opposizione ungherese che aspetta Orbán al varco delle elezioni politiche dell’anno prossimo. Vedremo.