Nell’antica Roma, la Suburra era il quartiere dove il potere e la criminalità segretamente si incontravano. Dopo oltre duemila anni, quel luogo esiste ancora. Perché oggi, forse più di allora, Roma è la città del potere. Nella Suburra del terzo millennio raccontata nel libro omonimo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini corruzione e violenza, morti e tradimenti la fanno da padrone: fin dove sono disposti a spingersi i protagonisti di Suburra?

IL PREZZO del potere è al centro della seconda stagione della serie ispirata al libro e all’omonimo film diretto da Stefano Sollima, otto episodi che Netflix rilascia in streaming dal 22 febbraio. La storia – girata in più di 100 locationi tra Roma e dintorni, dalla Vela di Calatrava a Ostia, passando per Montecitorio, ruota intorno ai quindici giorni che precedono l’elezione del nuovo sindaco di Roma – con la battaglia tra la nuova criminalità, politici corrotti e il Vaticano sui terreni di Ostia che garantiscono speculazioni ad altissimo interesse. Prodotto da Cattleya e Barteblyfilm in collaborazione con Rai Fiction (la Rai sta trasmettendo in chiaro la prima stagione), Suburra mette in scena l’evoluzione – e la catarsi in qualche modo – dei tre protagonisti della prima: Aureliano (Alessandro Borghi), il piccolo boss di Ostia con grandi ambizioni, lo zingaro Spadino (Giacomo Ferrara) con problemi di identità nel clan familiare a cui vorrebbe mettersi a capo, Lele (Eduardo Valdarnini), ora deciso a redimersi entrando in polizia sulle orme del padre morto in azione.

Alessandro Borghi in una scena di Suburra 2

UN UNIVERSO spietato dove trovano spazio anche altre figure come Samurai (Francesco Acquaroli), il re di Roma con legami in pasta ovunque: nella malavita, nella politica e nella Chiesa; Amedeo Cinaglia (Filippo Nigri) il politico puro e idealista che si è fatto corrompere e stringe alleanze pericolose con Samurai, mentre Sara Monaschi (Claudia Gerini) dopo il fallimento del matrimonio e la perdita della sua posizione in Vaticano, si ricicla abilmente in un Onlus dedicata all’accoglienza dei profughi con cui la donna si garantisce lauti guadagni. «Con le nostre produzioni – spiega Riccardo Tozzi di Cattleya – ci ispiriamo a una tradizione di realismo. Ci basiamo su storie vere, le realizziamo e le decliniamo in un linguaggio di genere in modo non sociologico, né ideologico. In Suburra il tema è la città ovviamente, c’è il tema dell’immigrazione e il collegamento tra lotta politica, il territorio e le componenti criminali di esso». Per

Alessandro Borghi – fresco di candidatura ai David di Donatello – nel ruolo complesso di Aureliano, Suburra è stato il trampolino di lancio della sua carriera: «Per me è stato l’inizio di tutto (Borghi era protagonista anche nel film di Sollima, ndr), Cattleya e Sollima hanno creduto in un ragazzo di 28 anni che da 15 cercava di fare questo mestiere senza riuscirci. Un mestiere molto complesso in questo paese, perché ci sono poche cose da fare e tanto meno interessanti. Ora va meglio, la serialità e la globalizzazione dei contenuti permette molta più scelta e possibilità».