A partire dagli anni Ottanta, anche in coincidenza con la pubblicazione, nel 1986, del seminario di Lacan su L’Éthique de la psychanalyse, che presentava una interpretazione innovativa della poesia dell’amor cortese, la natura e la genesi del concetto freudiano di «sublimazione», un concetto straordinariamente complesso, hanno stimolato intense discussioni, non solo nel campo degli studi psicoanalitici, spesso polarizzandosi tra chi ne convalidava il valore clinico e chi metteva l’accento sulla sua problematicità difficilmente emendabile (poco più di un anno fa il volume Sublimazione, curato per Mimesis da Vincenzo Cuomo e Eleonora De Conciliis ha proposto un utile stato dell’arte sulla questione).

Il qui e ora del sempre
La posta in gioco del dibattito è importante. Semplificando: il punto di partenza è ancora nell’invito di Freud a leggere la sublimazione delle pulsioni (la possibilità che il loro soddisfacimento si canalizzi verso mete diverse da quelle sessuali, affini dal punto di vista psichico, ma più «alte» e più valorizzate) come un elemento centrale del processo di civilizzazione, nelle sue espressioni intellettuali, artistiche, scientifiche.

Ora, se è vero che la società contemporanea soffre una crisi culturale profonda, composita e estremamente diffusa, a sua volta manifestamente dipendente da un cedimento dell’ordine simbolico, un collasso innescato anzitutto da cause economiche, tecnologiche, mediali – allora sembra legittimo pensare che qualcosa nel sistema psico-sociale della sublimazione si sia logorato o inceppato, e che anzi lo stesso schema teorico che ha presieduto alla sua elaborazione domandi una reinterpretazione critica. Di questo scrive lo psichiatra e psicoanalista Giuseppe Civitarese in L’ora della nascita Psicoanalisi del sublime e arte contemporanea (prefazione di Nadia Fusini, Jaca Book, pp. 173, € 20,00) confermando l’importanza del paradigma della sublimazione e aggiornandolo all’attualità dei nostri fenomeni culturali – a cominciare da quelli estetici, nel loro senso ultimo e nelle loro implicazioni maggiori.

La prospettiva psicoanalitica (spesso scortata da contributi filosofici) viene – tra queste pagine – messa alla prova dell’arte contemporanea, che a sua volta si ritrova convocata per chiarire alcuni temi metapsicologici di fondo. Due le opzioni principali, che facendo leva sul pensiero di Bion, Klein, Winnicott, Lacan, ma anche su quello di Heidegger, Lyotard, Derrida, delineano il perimetro di questa rilettura. Da una parte, Civitarese invita a indagare il nesso tra il concetto di sublimazione e quello di sublime, senza lasciarsi ingannare dalla loro apparente eterogeneità: in comune hanno, infatti, il riferimento all’idea di «un dispositivo, rispettivamente psichico e retorico, che porta il soggetto il più in alto possibile nel processo della propria autorealizzazione».

Sia nella teoria del sublime (che discute qualità e ragioni di quel «positivo» sentimento di vertigine e terrore indotto dalla presenza di un «oggetto» incombente, che rimanda a qualcosa di illimitato) che in quella dell’incanalamento delle pulsioni, un certo ordine, una certa disposizione formale vengono «sentiti come rivitalizzanti nella materialità stessa della carne».

E d’altra parte, Civitarese individua i modi in cui l’arte sublime contemporanea – sei brevi capitoli centrali discutono le opere «immersive» di Serra, Kapoor, Malani, McQueen, Kiefer, Sun Yuan e Peng Yu – riveli in filigrana una configurazione emotiva essenziale, in cui sia l’artista che lo spettatore si ritrovano a fare i conti con il rapporto più problematico dell’essere umano, ovvero il legame con il corpo materno.

Le opere d’arte testimonierebbero, dunque, la possibilità di una autentica rinascita psichica, affettiva e intellettuale, in grado di oltrepassare l’esperienza della nascita biologica, con cui peraltro non cessiamo mai di avere a che fare. Strutture formali e effetti dell’arte «sublime» del nostro tempo si prestano a rendere diversamente leggibile il processo della sublimazione, intendendola come ricerca e condivisione sociale di una distanza ottimale dal primo oggetto d’amore. Del tutto vitale è, in effetti, la conquista di una lontananza dal potere invischiante della prima presenza soccorritrice, nella forma della invenzione sensoriale di un intervallo di pensiero e di affetto che scongiuri il rischio di restare invischiati in una angosciosa indifferenziazione dall’«oggetto primario».

Bello e terribile
Da questa complessa prospettiva, la ricostruzione di Civitarese inquadra nuovamente enigmi, lacune, unilateralità della teoria della sublimazione, interrogando la cogenza anche clinica dei temi legati al paradigma della cosiddetta desessualizzazione della pulsione. E, tra le righe, ci ricorda come pochi versi meglio di quelli composti da Rilke nelle sue Elegie duinesi siano in grado di mettere a fuoco la natura del problema che ci si ritrova, da sempre, a fronteggiare: «Poiché il bello/ è solo l’inizio del terribile, che ancora noi sopportiamo,/ e lo ammiriamo così, ché quieto disdegna/ di annientarci. Ogni angelo è tremendo».