Il 6 aprile scorso il primo atto dello Tsunami Tour dei movimenti per il diritto all’abitare ha travolto Roma, Alemanno e il centrodestra governavano la città e le opposizioni chiedevano di ascoltare le ragioni di chi occupava. Lo tsunami non si è più fermato, le occupazioni sono triplicate e ora le risposte le deve dare il centrosinistra. Il sindaco Marino e la sua giunta hanno ereditato una città con le casse vuote e emergenze a cui fare fronte, tra cui appunto il diritto alla casa.

Roma al centro della lotta per la casa non solo per ragioni storiche, ma perché è anche la capitale della rendita, della speculazione immobiliare e della crescita incontrollata dell’agglomerato urbano, in cui i processi di gentrification sono stati accelerati e virulenti. Una città in cui con i voti e con il potere economico e mediatico dei padroni del mattone le amministrazioni di ogni colore hanno dovuto fare i conti. Sabato il corteo romano era composto almeno per un terzo da inquilini sotto sfratto, senza casa, occupanti, cittadini che chiedono risposte non più rinviabili. Per questo il tavolo di oggi con il ministro Lupi dovrà chiudersi con una trattativa vera. Ne parliamo con il vicesindaco Luigi Nieri.

Cosa vi aspettate dal tavolo con Lupi? Da tempo chiedete al governo un intervento concreto sul tema della casa…

Per prima cosa bisogna arrivare al blocco degli sfratti, un provvedimento d’urgenza è necessario. Per trovare soluzioni di lungo periodo è il primo passaggio: come possiamo pensare di risolvere l’emergenza abitativa se altre migliaia di persone ogni mese rimangono senza alloggio? Poi deve trovare soluzione la vicenda delle case degli enti previdenziali, un patrimonio che non può essere messo sul mercato come se nulla fosse per fare cassa, bisogna tutelare gli inquilini che altrimenti in molti casi andrebbero a ingrossare le file di chi vive una situazione d’emergenza. Ciò è possibile solo con un impegno del governo.

Il blocco degli sfratti, poi? Pensa serva un piano per nuove case popolari? E il patrimonio pubblico – si parla di beni immobili per sei miliardi – che sta per essere liquidato?

Il nostro obiettivo è guarire Roma dalla sua crescita malata, basata sullo svuotamento delle zone storiche e lo sviluppo estensivo. Dal centro alla periferia, dalla periferia all’hinterland, dall’hinterland alla provincia. Che senso ha svuotare dei suoi abitanti una città? Non servono nuove cubature che andrebbero a costruire altri quartieri residenziali senza servizi, mal collegati, continuando a mangiare un grande patrimonio come l’agro romano. Vogliamo rigenerare la città, ripopolarla, riempire spazi abbandonati. L’inversione di tendenza deve essere radicale, ma non ci nascondiamo che gli enti locali e Roma in particolare hanno bisogno di risorse.

I movimenti hanno dimostrato la loro forza e la loro robustezza sociale, vi siete incontrati diverse volte dopo le occupazioni e le manifestazioni…

Il problema della casa non riguarda solo fasce marginali della popolazione, dopo sei anni di crisi. Investe i ceti medi che si impoveriscono, i migranti… Ci siamo seduti più di una volta al tavolo, abbiamo fatto proposte e cominciato a discutere, un dialogo vero.

Tutti d’accordo sulla necessità di chiudere i residence, ma non sulla modalità…

Piazza del Campidoglio è sempre aperta a chi vuole manifestare, non come con Alemanno, e io sempre disponibile ad ascoltare. Poi un dialogo può passare anche per momenti conflittuali, l’importante è che sia costruttivo e non si arrivi al muro contro muro.

Enzo Foschi, caposegreteria di Marino, è stato molto criticato per un tweet alla fine del corteo di sabato: «I giornalisti sono i veri black block». Che ne pensa?

Io sono tra quelli, insieme a tanti colleghi, che hanno cercato di non buttare benzina sul fuoco. Dal Campidoglio si è lavorato con le altre istituzioni e gli organizzatori affinché la giornata si svolgesse il più serenamente possibile. I movimenti hanno affrontato una prova di maturità e le forze dell’ordine hanno fatto la loro parte il giorno della manifestazione e soprattutto dialogando con gli organizzatori nei giorni precedenti. Molti, forse anche senza elementi, si sono preparati a raccontare una giornata da guerra civile: così non è stato. Andavano valorizzati i contenuti della protesta e non «l’estetica del conflitto».