Ci sono appoggi che fanno più danno della più acuminata critica. Il «A Tajani dico solo: bella fratè» di Alessandra Mussolini è uno di quelli. La bufera impazza sia a Strasburgo che a Roma, le frasi del presidente del Parlamento europeo, pronunciate il giorno prima ai microfoni della Zanzara, diventano uno scandalo politico, e il reprobo si scusa, con apposita lettera, dicendosi «profondamente dispiaciuto che malgrado la mia storia politica e personale, qualcuno possa pensare che io sia indulgente con il fascismo. Sono sempre stato convintamente antifascista».

NON BASTA A RIMARGINARE la ferita, perché Tajani non aveva solo detto che il fascismo aveva costruito infrastrutture, verità storica difficilmente discutibile, ma si era anche abbandonato al più corrivo tra i luoghi comuni, secondo cui ci sarebbe stato un fascismo buono traviato dalla malefica seduzione del nazismo. A Strasburgo gli europarlamentari del Pse e dei Verdi impongono di fatto una discussione, in assenza del diretto interessato, nella quale volano richieste di dimissioni. Il popolare tedesco Wieland presiede e prova a impedire il dibattito ma non ce la fa. Un altro popolare, lo spagnolo Gonzales Pons, tenta una goffa difesa d’ufficio: «Tajani è un democratico che condivide la condanna a fascismo, nazismo e comunismo». Ma anche tra i popolari l’imbarazzo è palese, la consapevolezza dello strafalcione evidente.

Ai Verdi e al gruppo socialista e al Gue si aggiungono i 5 Stelle. Dimenticando di avere nelle loro file un senatore che cita come se nulla fosse i Protocolli dei savi di Sion, pietra angolare della Shoah, si riscoprono antifascisti. Tajani deve chiedere immediatamente scusa per le sue parole vergognose sul fascismo e deve assumersene la responsabilità», attacca la pentastellata Laura Agea. Il battagliero sottosegretario Stefano Buffagni twitta il ritratto di Giacomo Matteotti e infuria: «Tajani svela il suo vero volto. Si vergogni». Impeccabile ma sarebbe più facile prenderlo sul serio se si scandalizzasse altrettanto quando Lannutti, dal suo stesso partito, tratta da documento storico gli immondi Protocolli.

IN ITALIA IL VENTO È ANCHE più tempestoso che nell’europarlamento. La presidente dell’Anpi Carla Nespolo accusa il «moderato» Tajani di essere un «fascista in doppio petto» e di «inaccettabile captatio benevolentiae nei confronti del fascismo». Dura anche la reazione di Pagine ebraiche e il Pd Emanuele Fiano, che nella scorsa legislatura aveva proposto una legge per introdurre il reato di propaganda del fascismo e del nazismo, non si accontenta della retromarcia: «Scuse o non scuse resto inorridito». Più moderato Romano Prodi, che trova l’esternazione dello scandalo «molto discutibile». La difesa viene, peraltro senza grancassa, solo da Forza Italia, da Giovanni Toti: «Parole non tra le più felici ma il mio amico Tajani non è un fascista».

Nel chiasso, risalta ancora di più un silenzio: quello della Lega. Matteo Salvini, che proprio la sera del fattaccio aveva incontrato a cena il reo insieme a Giorgia Meloni per parlare di regionali e poi anche Denis Verdini, non commenta né si sbottonano i suoi ufficiali. E’ un silenzio calcolato: il leader leghista non vuole passare apertamente per corrivo col fascismo. Ma ci tiene a non fare neppure la figura dell’antifascista.

RESTA DA CAPIRE se quelle di Antonio Tajani sono state parole «dal sen fuggite», magari dettate da quell’antica militanza di estrema destra (monarchica però, non neofascista) che nelle celebrazioni per le foibe gli aveva suggerito un’altra uscita incauta, quando si commosse per «Istria e Dalmazia italiane», oppure se ci fosse anche un qualche calcolo politico.

Forse ha giocato la tentazione di competere con il ringhioso ministro degli Interni per la conquista dei voti di estrema destra. Ma più probabilmente il presidente popolare del Parlamento europeo guardava soprattutto ai guai e alle divisioni del suo europartito. Il 20 marzo il Ppe dovrà decidere sull’espulsione o meno del premier ungherese Viktor Orbán, di fatto accusato di essere un fascista travestito da popolare o quasi. Forza Italia è contraria, perché Orbán è una carta essenziale nel progetto berlusconiano di accordo tra Ppe e destra sovranista a Strasburgo. Forse Tajani, parlando dell’Italia di ieri, aveva in mente l’Ungheria di oggi.