La bomba di oltre 150 millimetri è esplosa all’alba. Era fatta d’acqua, è diventata una valanga di fango. Il risveglio delle famiglie rom accampate nella baraccopoli di via Umberto Moricca è avvenuto con un singulto. Dopo, tutto è scivolato via, la terra è diventata poltiglia e ha scatenato la sua vendetta. Costruiti sul pendio del parco del Pineto, distanti tre chilometri, mezz’ora a piedi e un quarto d’ora in macchina, dalle mura di città del Vaticano dove papa Bergoglio lotta contro la povertà del mondo, questi tuguri di legno, bandoni di lamiere e muri a secco improvvisati sono stati travolti nel mezzo degli alberi. Una delle tremila telefonate giunte al 118 ieri (9 mila al 113) ha avvertito vigili urbani e polizia che si sono precipitati nel parco e hanno estratto, ancora vivi, sei rom. Due erano le donne.

I testimoni hanno sentito l’urlo che ha rotto il loro sonno. La collina ha deciso di abbandonarsi alla forza di gravità. Poteva uccidere. Non è successo. Stavolta. È la normalità dell’auto-segregazione che colpisce. La si può apprezzare persino digitando su Google Earth. Le baracche sono a pochi metri dalla civiltà, a una manciata di minuti da una fermata della linea A della metro, che ieri non è stata chiusa. Poco distante, la direttrice vaticana invece si.

Lepanto, Ottaviano e piazzale Flaminio allagati. Ci sono stati disagi anche nella cittadella giudiziaria a piazzale Clodio, accanto a via Teulada dove ci sono gli studi per le produzioni Rai. Le aule del tribunale in via del Golametto si sono allagate. L’acqua è piovuta dalle infiltrazioni nel soffitto. È bastata questa infiltrazione per bloccare il traffico sulla Trionfale, una delle autostrade urbane che collega con la Cassia, Balduina, la zona dove abitava Moro il giorno del rapimento in via Fani. Una montagna di fango è crollata anche sulla Cassia, all’altezza di piazza dei Giuochi Delfici. Su Roma Nord ieri c’era una maledizione.

Nell’inferno d’acqua che ieri ha tenuto in ostaggio la Capitale, il maltempo ha dichiarato lo stato di emergenza e ha colpito gli inermi. Come i migranti costretti nel Centro per i richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto sulla Flaminia. Il Cara, costruito sulla piana alluvionale del Tevere e gestito dalla Protezione Civile, è stato sommerso dalla piena del fiume ringhioso, tre metri in più che li hanno costretto centinaia di uomini, donne e bambini a perdere i loro poveri averi, salire sui tetti e a chiamare le persone vicine. “I migranti sui tetti del Cara – ha denunciato Paolo Di Vetta dei Blocchi Precari Metropolitani – hanno dovuto abbandonare tutto per mettersi in salvo, mentre del personale che lavora lì sembra che non ci sia più traccia”. Un operatore del Cara è in gravi condizioni per una scarica elettrica ricevuta nel suo ufficio allagato. Il 118 è riuscito ad intervenire, superando il traffico impazzito, solo con un elicottero. L’uomo è stato rianimato sul posto e poi trasportato all’ospedale Gemelli in condizioni gravissime. Non sarebbe in pericolo di vita.

L’acqua non fa differenze. Colpisce i sommersi delle terre perdute, ma anche i cittadini. Sfonda gli argini, entra nelle case, non chiede “permesso?”. Basta spostarsi sul quadrante opposto della metropoli. A Roma Sud c’è un quartiere che si chiama Infernetto. Il singolare toponimo sembra uno scherzo del destino. È il frutto dell’abituale, e visionaria, capacità dei romani di rinominare i luoghio di attribuire nomignoli metaforici alle persone. Sul lato orientale della Cristoforo Colombo, c’erano grosse carbonaie che producevano grandi fuochi. Viste da lontano richiamavano l’idea dell’inferno. Ieri non c’erano fiamme tra le quiete villette, ma un torrente alto un metro. Due anni fa, tra via Alaleona e via Cortopassi, per un’analoga inondazione, morì un lavoratore cingalese di 32 anni.

A Roma, l’acqua non dimentica, torna e distrugge. Alle 9,40 di ieri Carlo ha dovuto portare la sua famiglia sul tetto. La casa ieri era allagata. Nella precedente alluvione lamenta di avere subìto danni ingenti per l’esondazione del canale di bonifica. “Abbiamo chiesto i soccorsi, non si è visto nessuno per ore”. È indignato anche il comitato di quartiere. La sua presidentessa, Stella Graziosi, si chiede, ancora incredula, perché da due anni non sono state realizzate le opere per impedire il disastro. I tecnici del Consorzio di Bonifica sono stati contestati per il cattivo funzionamento delle idrovore del canale Bagnolo. Sembra che l’impianto non abbia funzionato, anche se sulla città piove da giorni.

La protezione civile ha consigliato i romani «limitare gli spostamenti». Lo ha fatto però solo dopo che la gente è uscita di casa. Il consiglio di restare a casa non l’ha potuto seguire quella donna in cinta che, ieri mattina, ha iniziato ad avere le doglie nel suo appartamento in via Medolaghi, zona Aurelia. Era alla 37esima settimana di gestazione. Lei e il suo bambino sono stati salvati dal 118 che è riuscito a recuperarla con un gommone.

La terra ha ceduto e la piana fino a Ostia è diventata un acquitrino. Il X municipio è stato tenuto in ostaggio, così come tutte le sue frazioni: Dragona, Casal Bernocchi, fino a Ostia antica dove c’è il miracoloso teatro dove di notte, in piena estate, sale una nebbia spettacolare. La ricordiamo durante un concerto dei Mogwai, suoni post-rock e luci stroboscopiche nel bianco latteo.

Sotto un muro d’acqua, i figli che a quell’ora si trovavano in ufficio hanno cercato di prendere la linea per chiamare i vigili del Fuoco. Dopo molti tentativi un genitore è stato salvato dalle acque a Madonnetta, dov’era prigioniero dell’acqua. A Prima porta l’esondazione di un torrente ha costretto centinaia di persone a rifugiarsi sui tetti. Sono stati salvati dai gommoni, il mezzo di trasporto più utilizzato, dopo le macchine, ieri dai romani. Il sindaco Marino, contro il quale l’opposizione di centro-destra ha cannoneggiato, si è recato in sopralluogo a Prima Porta e Ostia. “Se si interrompe lo scorrimento delle acque con edilizia disordinata e spontanea e non organizzata è evidente si creano situazioni di pericolo – ha detto – nessuno può correggere istantaneamente ciò che è stato fatto per 40 anni. Siamo davanti ad un evento eccezionale”. Questa idea di “edilizia disordinata e spontanea” e’ un’eufemismo per dire l’inconfessabile per un sindaco di Roma. La speculazione urbanistica ha corrotto ogni anfratto di questa città colabrodo. La terra si ribella, ora. Segue un ragionamento tutto suo. A contatto con l’acqua diventa diabolica. L’apocalisse, in realtà, viene con la pioggia.

A Roma manca l’essenziale, anche i soldi per i rammendi stradali. Il simbolo dell’apocalisse è lo squarcio largo venti metri e profondo dieci al Quartaccio, sulla collinetta nello storico quartiere antagonista di Primavalle. Non è stata una mina, non è stato un missile. Si chiama abbandono. Non ha colore politico. Si chiama austerità.