Nel consiglio dei ministri di ieri non si è parlato di nomine. Al termine però sì, ma anche se non se ne fosse fatta parola l’allarme rosso suonerebbe comunque. Ufficialmente la faccenda riguarda solo Padoan, ministro dell’Economia, il premier Gentiloni, il ministro per lo Sviluppo Calenda, che ieri era assente, e per il visto definitivo il capo dello Stato Mattarella. Ma nessuno si illude che non metta il becco anche Renzi. Ecco perché Francesco Boccia, braccio destro di Michele Emiliano, si è premurato di mettere le mani avanti chiedendo a Padoan che le nomine in scadenza delle partecipate siano fatte «secondo criteri oggettivi, di massima trasparenza anche istituzionale e con una chiara impronta industriale». Se non fosse abbastanza chiaro, aggiunge: «Ci aspettiamo che nessun candidato alle primarie possa incidere su questo processo».

Il richiamo alla «chiara impronta industriale» non è casuale né retorico: i manager che secondo le indiscrezioni Renzi vorrebbe mandare a casa, l’ad delle Poste Francesco Caio e quello di Finmeccanica, oggi Leonardo, Mauro Moretti, sul piano aziendale possono vantare risultati del tutto soddisfacenti. Fanno acqua dal punto di vista dell’affidabilità politica per il re, momentaneamente privo di corona, del Nazareno. Renzi sarebbe invece favorevole a una conferma per altri tre anni di Claudio Descalzi all’Eni e di Francesco Starace all’Enel. L’unico possibile ricambio, da quelle parti, potrebbe essere la sostituzione di Emma Marcegaglia con Gianni De Gennaro alla presidenza Eni.

Tutt’altro discorso per Poste e Finmeccanica. Caio ha aumentato gli utili di oltre il 12% ma si è anche inimicato il vertice del Pd rifiutandosi di dare una mano a Mps e scegliendosi ben due vicedirettori considerati dalemiani di ferro. Moretti ha chiuso i conti, l’anno scorso, con un utile di 507 milioni e ha raddoppiato il valore di Finmeccanica-Leonardo in borsa. Ma è inviso al Nazareno e sarebbe soprattutto Mattarella a chiederne il licenziamento dopo la condanna in primo grado a 7 anni per la strage di Viareggio, avvenuta mentre era alla guida delle Ferrovie.

A rimpiazzare Moretti sarà quasi certamente Alessandro Profumo, il banchiere di Unicredit e Mps. Per la guida delle Poste invece ci sono in ballo due nomi, l’attuale ad di Terna Matteo Del Fante e quello di Cassa depositi e prestiti Fabio Gallia. Il Nazareno preferirebbe di gran lunga il primo. Tanto da considerare l’ipotesi di spostare Del Fante nella postazione strategica della Cassa depositi e prestiti lasciando a Gallia le poste.

Sin qui è un tipico, se non proprio normale, valzer delle poltrone. Nel quale Renzi, che sarà pure un semplice candidato alla segreteria Pd ma si sente non solo segretario ma anche ancora premier, vuol fare la parte del leone. Ma date le circostanze, non a caso richiamate anch’esse da Boccia, la partita si intreccia con quella della manovra correttiva. Il braccio di ferro in sordina, su quel fronte, è tra Renzi da una parte, Gentiloni, Padoan e l’Ue dall’altra. Una delle voci di maggior attrito sono le privatizzazioni, e Caio, come il premier e Padoan, è appunto tra i favorevoli alla privatizzazione di Poste.

Non è l’unico tassello spinoso. Ce ne sono altri, a partire dalle date. Renzi vorrebbe posporre la manovra a dopo le primarie. L’Europa però ha fissato proprio per il 30 aprile la data ultima per evitare la procedura d’infrazione. Poi c’è l’aumento delle accise sulla benzina. Renzi, che vuole arrivare alle politiche sbandierando il suo non aver mai alzato le tasse, è per evitarlo a ogni costo. Padoan si rende conto che, senza l’aumento, mettere insieme 3,4 miliardi non sarebbe possibile. Tanto più che quei miliardi non basteranno. I tecnici della Ue hanno fatto sapere che serviranno solo ad avvicinarsi di un filo a quanto sarebbe necessario per mettersi al passo con le regole sulla riduzione del debito. E’ un modo indiretto ma chiaro per confermare che almeno quel passetto deve essere fatto. Tutto e nei tempi indicati.