Quando abbiamo pubblicato il nostro libro-intervista Utopia Europa, poche settimane prima delle elezioni europee, nulla era ancora successo.
A distanza di pochi mesi ci troviamo con un altro governo, ben diverso da quello nel quale dominava Matteo Salvini. Questo rovesciamento di fronte ha avuto l’indubbio merito di rilanciare le aspirazioni di quanti, nel nostro e in altri paesi, vedono nell’Unione europea una straordinaria opportunità da sfruttare al meglio piuttosto che un ostacolo da abbattere.

Ciò avviene in un momento in cui le cancellerie europee, dopo aver toccato con mano i rischi di una deriva sovranista, sembrano finalmente disposte a nuove aperture sul fronte dell’immigrazione, della crescita economica e della giustizia sociale. Ci sono ora le condizioni affinché le aspirazioni che hanno motivato quel nostro libro diventino pragmaticamente realistiche.

LA PRIMA È IL RITORNO in campo dell’Italia che può rappresentare in questa fase – all’opposto della situazione di isolamento in cui ci aveva cacciato il precedente governo – un’importante leva in Europa per spostare l’ago della bilancia verso una maggiore coralità, dopo anni in cui erano sostanzialmente Parigi e Berlino a dettare l’agenda continentale.

Si torna alla pratica della trattativa, delle soluzioni condivise per affrontare problemi epocali come l’immigrazione, che vanno ben oltre la capacità dei singoli stati e che si spera porteranno l’Europa non solo a discutere di quote, ma a riformare finalmente Dublino e, inoltre, a proporsi come attore internazionale nella risoluzione della crisi libica e nell’adozione di politiche di cooperazione con i paesi africani.

È QUESTA L’EUROPA che ci può rendere più sicuri. È questa la politica che meglio incontra gli interessi del nostro paese e dei paesi europei.

Tutto bene allora? Non proprio. Si tratta di capire meglio quali siano le reali aspirazioni del nostro governo, sulla base delle quali va giudicato. La proposta avanzata dal Presidente del consiglio sull’immigrazione, che ricalca in molti punti quella votata dal Parlamento europeo, sembra un passo nella giusta direzione.

Sopratutto se preludio ad una riforma di Dublino.

Sul fronte dell’economia, sono apparse convincenti le affermazioni del ministro Gualtieri contro la flat tax, strumento di ingiustizia redistributiva che privilegia i ricchi e non allevia il peso fiscale di chi ha meno – una proposta anticostituzionale, come l’ha definita lo stesso ministro.

Così come mettere in cantiere una politica antievasione non più solo repressiva ma fondata su incentivi, e avviare politiche di stimolo alla produzione. Proposte non più utopistiche anche per la convenienza che potrebbe avere la Germania a una nuova politica riformista per stimolare la sua di crescita, dopo aver imposto per anni la linea dura del rigore, del risparmio e del non debito. Segnali di novità che non devono indurre in facili illusioni.

Per cambiare rotta e mettere mano con coerenza alle ragioni che hanno dato ossigeno alla protesta populista, la discontinuità che dovrebbe ora perseguire l’Europa sta nella fine delle politiche di contenimento della spesa pubblica in quei settori cruciali come la scuola, la formazione, la sanità, che hanno per anni subito una draconiana politica di tagli.

IN ALTRE PAROLE, APPARE decisivo per l’Europa marcare una discontinuità con il «duro neoliberalismo economico» che, a partire dalla crisi economica, ha mosso le istituzioni meno rappresentative dell’Unione in una logica esclusiva di restaurazione dei vincoli di mercato, con il risultato che masse crescenti di popolazione, proprio qui, nelle nostre democrazie, si sono sentite defraudate e abbandonate al loro destino.

Per citare Michael Walzer, bisogna essere consapevoli che non c’è solo il profitto economico, ma c’è una pluralità di beni il cui ottenimento richiede metodi e principi distributivi diversi. E tra i beni quello della dignità della persona è, come recita la nostra Costituzione, fondamentale.

L’ALTRO TEMA È LA NECESSITÀ di un riavvicinamento tra la rappresentanza politica europea e i rappresentati. Ma come, se strumenti tradizionali di mediazione come i partiti non funzionano più come una volta? Oltre ad un rilancio di organizzazioni meno leaderistiche e più articolate e plurali, antidoto al potere di lobbies e gruppi di pressione, occorre avere il coraggio di percorrere fino in fondo strade nuove, usando ad esempio la rete per stabilire relazioni di consultazione e di conoscenza diretta di come operano le istituzioni europee. Abbiamo già gli strumenti per operare in questo senso.
La comunicazione può essere cruciale per una rinascita democratica. Il confronto tra democrazia e populismo passa non solo dalla conta dei voti, ma anche dallo stile politico e dalle forme di comunicazione.
La vera sfida è adesso sfruttare le potenzialità di internet per strutturare una politica della comunicazione e della conoscenza contro la manipolazione propagandistica dei populisti.