Ci troviamo di fronte a un nuovo scontro fra Bruxelles e Budapest, uno dei tanti ai quali il premier ungherese Viktor Orbán ci ha abituati. Stavolta al centro della contesa c’è la cosiddetta “legge anti-Lgbtq” approvata nel mese di giugno. Una legge che, a detta del governo di Budapest, ha il compito di tutelare l’educazione sessuale dei più giovani. Infatti essa prevede, tra le altre cose, che non venga affrontato nelle scuole il tema dell’omosessualità tanto per evitar loro turbamenti e il possibile approdo, in prospettiva, a scelte sessuali “sbagliate”. La legge, poi, dispone che i minorenni non abbiano alcun accesso a materiale pornografico e che chiunque si renda responsabile di atti di pedofilia venga punito severamente.

Come già precisato in un articolo uscito sul Manifesto all’indomani dell’approvazione di questa norma controversa, non si può ignorare l’odiosa coabitazione stabilita dalla medesima fra due aspetti, l’omosessualità e la pedofilia, che non sono certo sinonimi l’uno dell’altro. Stessa cosa per la parte riguardante la pornografia.

Per la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen questa legge è “vergognosa”, “non serve a proteggere i bambini ma solo a discriminare”. La von der Leyen ha quindi precisato che “se l’Ungheria non aggiusterà il tiro la Commissione userà i poteri ad essa conferiti in qualità di garante dei trattati”. Si rinnova quindi la tensione fra le parti, tanto più che la Commissione europea ha sospeso una valutazione positiva al piano di ripresa e resilienza legato al Recovery Fund per l’Ungheria alla quale sono destinati 7,2 miliardi di euro che però non possono essere versati senza l’approvazione del piano. Non sarebbero, infatti, sufficienti le misure precauzionali per evitare abusi nell’uso dei fondi. Sta di fatto che la notizia di questa decisione è giunta in una situazione di attrito fra Budapest e Bruxelles per le dichiarazioni della von der Leyen sulla legge anti-Lgbtq.

Le autorità governative ungheresi hanno reagito nel modo più prevedibile, riferendosi ad aspetti riguardanti la sovranità nazionale che vedono messa a rischio dalle ingerenze dell’Ue negli affari interni degli stati membri. “La sovranità e l’indipendenza dei paesi membri, nonché il diritto alla difesa dei minori sono diritti comuni per tutti. Spetta all’Ungheria scegliere come educare i figli” è stata la risposta della ministra ungherese della Giustizia, Judit Varga, alla von der Leyen. La ministra ha precisato che Budapest non ritirerà la legge anzi, la difenderà con ogni mezzo legittimo. E ha poi tuonato: “È inaccettabile che il diritto europeo sia usato per battaglie ideologiche”.

Quello della sovranità nazionale, del diritto alla piena autodeterminazione di ogni stato membro, è un tema centrale della propaganda orbániana. Quest’ultima attacca l’Unione europea occidentale che, a sua detta, vorrebbe imporre i suoi valori ai paesi membri del Centro-Est, il suo liberalismo. A questo proposito va considerato il fatto che per il primo ministro ungherese e per i suoi collaboratori e sostenitori quella liberale è una tendenza politica ormai priva di argomenti da offrire alla gente, di certo estranea al retaggio storico e culturale dei paesi dell’Europa centro-orientale. Così il leader danubiano attacca la stampa liberale occidentale che descrive come strumento di propaganda della tecnocrazia liberale di Bruxelles. Uno strumento di propaganda e pressione politica, impegnato nel compito di attaccare e delegittimare l’Ungheria agli occhi dell’opinione pubblica europea perché il suo premier ha avuto il coraggio di intraprendere quella che la retorica governativa descrive come una lotta di libertà con la quale dare al popolo ungherese la possibilità di prendere le redini del suo destino.

Senz’altro un trionfo di retorica nel quale l’uomo forte d’Ungheria si fregia del merito di aver respinto i modelli decadenti dell’Europa liberale e i suoi falsi e fuorvianti valori: il multiculturalismo, il cosmopolitismo, l’apertura alla comunità Lgbtq. L’Ungheria va per la sua strada, questo il contenuto di fondo della messaggistica orbániana; va per la sua strada, secondo i suoi valori che vedono al centro la trimurti Patria-Chiesa-Famiglia. Cosicché, secondo la propaganda del governo la famiglia ungherese sana dà figli alla Patria, la scuola sana non espone i più giovani a tendenze sessuali fuorvianti inaccettabili sia sul piano morale che sul piano pratico. La situazione demografica ungherese non è florida. A maggior ragione, secondo l’esecutivo, il paese non può permettersi comportamenti sessuali “devianti”.

C’è però un’Ungheria che non accetta queste argomentazioni, le respinge e cerca di reagire con manifestazioni di piazza e iniziative che si svolgono in rete. È l’Ungheria dell’apertura, quella che non ha paura di misurarsi con la diversità ma che, anzi, crede in un confronto costruttivo con essa per una questione di crescita culturale e civile. E prende posizione contro l’attuale sistema che si contraddistingue per una concezione padronale del mondo del lavoro, patriarcale nel rapporto tra i sessi, refrattario, nella sua messaggistica, a qualsiasi ipotesi di “contaminazione culturale”. Quello stesso sistema che non intende ratificare la Convenzione di Istanbul perché, dice, “sostiene ideologie di genere estranee ai nostri valori”, e che scoraggia gli studi di genere, specie quelli che hanno per oggetto l’omosessualità, considerata, come abbiamo visto, tendenza deviante, addirittura condotta antipatriottica. Forse questo non l’ha detto chiaramente ma la deduzione è più che legittima.