Dopo oltre 2.180 giorni di detenzione, le autorità iraniane hanno annunciato che intendono eseguire la condanna a morte di Ahmadreza Djalali entro la fine del mese di Ordibehesht (21 maggio) del calendario persiano.

Ricercatore esperto di Medicina dei disastri, Djalali era stato arrestato in Iran nel 2016 e condannato a morte da un tribunale rivoluzionario per spionaggio a favore di Israele. Cinquant’anni, il ricercatore iraniano aveva lavorato anche in Italia all’Università del Piemonte orientale.

ED È PROPRIO A NOVARA che ieri pomeriggio Amnesty International, il Comune di Novara, la Provincia di Novara, l’Università del Piemonte orientale e Crimedin (Centro per la ricerca e la formazione in Medicina dei disastri, Aiuto umanitario e Salute globale dell’Università del Piemonte orientale) hanno organizzato una manifestazione per salvargli la vita. Oggi pomeriggio alle 17.30 un altro evento di Amnesty avrà luogo davanti all’Ambasciata dell’Iran a Roma per chiedere a gran voce di fermare l’esecuzione.

Cittadino iraniano, durante la prigionia Djalali ha acquisito la cittadinanza svedese e anche per questo motivo si era ventilata l’ipotesi di uno scambio con il funzionario della magistratura iraniana Hamid Nouri. È in carcere in Svezia e la settimana scorsa si è concluso il suo processo per crimini di guerra ed esecuzioni e torture di massa di prigionieri politici iraniani nel 1988.

Attesa entro il 14 luglio, la sentenza nei confronti di Nouri potrebbe prevedere l’ergastolo. Ma il funzionario iraniano continua a dichiarare di essere stato confuso con un altro. L’esecuzione di Djalali «avverrà certamente e non c’è alcuna possibilità che venga scambiato con Nouri», ha dichiarato il portavoce della magistratura di Teheran, Zabihollah Khodaian, citato da Irna, sottolineando che la condanna di Djalali è «definitiva».

«Le due vicende non sono collegate, perché Nouri è innocente e Djalali è stato arrestato due anni prima. Quindi, non c’è alcuna possibilità di uno scambio tra i due prigionieri», ha aggiunto Khodaian, definendo il caso di Nouri come «politicamente motivato».

DJALALI era stato arrestato nel 2016 dai servizi segreti in Iran, dov’era stato attirato con l’inganno: era stato invitato a partecipare a una serie di seminari nelle università di Teheran e Shiraz. Si è visto ricusare per due volte un avvocato di sua scelta. Le autorità della Repubblica islamica hanno fatto forti pressioni su di lui affinché firmasse una dichiarazione in cui confessava di essere una spia per conto di un governo ostile.

Quando ha rifiutato, è stato minacciato di essere accusato di reati più gravi. Nel 2017 è stato condannato in via definitiva a morte con l’accusa di spionaggio in favore di Israele. L’esecuzione è stata più volte annunciata e poi sospesa a seguito delle pressioni internazionali. Da novembre 2020, Djalali non può comunicare con la moglie e i due loro figli, che vivono in Svezia. Le uniche informazioni sul suo conto, provenienti dai suoi legali, parlano di un grave stato di salute. In suo favore si sono pronunciati oltre 120 premi Nobel in discipline scientifiche.

IN QUESTI ANNI diverse persone con doppia cittadinanza (iraniana ed europea) sono diventate – loro malgrado – merce di scambio. Due cittadine anglo-iraniane a lungo detenute in Iran con l’accusa di spionaggio erano state rilasciate a metà marzo, in un’ottica di distensione mentre riprendevano i negoziati sul nucleare. Nazanin Zaghari-Ratcliffe, dipendente della fondazione Thomson Reuters, e l’ingegnera Anousheh Ashouri, titolare di un’azienda del settore costruzioni, avevano così lasciato l’Iran.

Iraniane naturalizzate britanniche, erano state rilasciate dopo un’intesa con i diplomatici britannici giunti a Teheran, che avrebbe dovuto comportare la restituzione all’Iran di 394 milioni di sterline (470 milioni di euro), ma che sembrano essere bloccati in Oman.

LA PRIGIONIA di Nazanin e Anousheh era legata all’acquisto di carri armati al tempo dello scià, che il sovrano aveva pagato. Dopo la Rivoluzione del 1979, gli inglesi non avevano però consegnato la merce e si erano tenuti i soldi.