Il Direttorio europeo rischia di essersi già sfasciato. Renzi diserta la conferenza stampa con Merkel e Hollande: «Non posso farla con loro perché non ne condivido le conclusioni. Sono stati fatti passi avanti, ma siamo ancora lontani dall’idea di Europa che abbiamo in testa. Così l’Europa rischia grosso».
E’ un gesto forte, molto vicino al punto di rottura anche se Frau Angela, ovviamente minimizza. Anche perché, dopo il gran gesto, l’italiano va giù a valanga. Indica quali sono i punti di rottura: l’immigrazione («Vogliamo vedere i fatti») e soprattutto l’economia («Dobbiamo essere consapevoli che la filosofia dell’austerity a tutti i costi non ha funzionato»). Con tanto di stilettata contro l’alta protettrice tedesca: «Le regole devono rispettarle tutti, anche la Germania che invece non rispetta quella del surplus commerciale non oltre il 6%».

Renzi va oltre. Prende di mira un obiettivo preciso, che per i vertici europei e per Berlino è però dogma intoccabile: il fiscal compact: «Per me non ha futuro. Dobbiamo fare una bella riflessione: prevedeva la durata di un quinquiennio. Anche in Francia una parte della destra lo contesterà e posizioni simili potrebbero arrivare dalla Spagna». E’ una sfida aperta e il fiorentino alza ulteriormente la posta anche sul fronte dell’immigrazione: «Se la Ue non fa accordi con i paesi africani li facciamo da soli». Segue, immancabile, la nota ottimistica: «Sono più che mai convinto che la Ue ce la può fare. Di qui al vertice di Roma in marzo l’Italia ha di fronte sei mesi molto impegnativi».

In parte è senza dubbio una sceneggiata propagandistica, come assicura a botta calda il capogruppo forzista Brunetta. Renzi non vuole arrivare al referendum con gli scomodi panni del cavalier servente della Merkel cuciti addosso. Ma non c’è solo questo. A guastare l’idillio tra la cancelliera tedesca e il premier italiano si sono messi gli elettori tedeschi e i conti italiani.

Renzi si era presentato a Bratislava impugnando la bandiera della flessibilità in nome del futuro dei giovani europei. Ma Angela Merkel aveva invece in mente la sonora batosta appena subìta nelle elezioni svoltesi nel suo stesso Land: un segnale che più chiaro non poteva essere. Allo stesso tempo lo stato dei conti italiani, con quel record di impennata del debito pubblico negli ultimi 7 mesi e con la crescita al palo, non facilitano il compito di chi dovrebbe allargare più che mai i cordoni della borsa per consentire all’alleato italiano di giocarsi qualche carta vincente prima del referendum. I segnali erano negativi già da parecchi giorni. Bratislava ha confermato la scarsa disponibilità tedesca.

Ma Renzi, con quella prova sulla quale ha incautamente scommesso troppo dietro l’angolo, non può permettersi di arrivare alle urne senza qualche mossa tale da riconciliare gli elettori con il suo governo. Più prosaicamente: deve poter spendere. E se il muro europeo non gli permette di farlo non resta che sterzare bruscamente e riscoprire quel fronte dell’Europa meridionale sul quale sognava di puntare appena arrivato a palazzo Chigi e che invece si è dimostrato impraticabile soprattutto per l’indisponibilità di Hollande.

Ma Hollande non resterà a lungo all’Eliseo. L’accenno del premier italiano alla destra francese ha realmente il sapore di una minaccia precisa. E’ una minaccia disperata, anche se Renzi la maschera con l’abituale spavalderia. Ma gli interlocutori sono altrettanto disperati, chiusi tra una Ue che non riescono più a gestire e i loro elettorati ribelli. L’Europa, stavolta, rischia di essere stritolata dallo scontro tra vasi di coccio.