Il consiglio di guerra si riunisce in serata a palazzo Chigi: con Gentiloni ci sono i ministri interessati, Padoan e Calenda, l’Economia e lo Sviluppo, e c’è anche la sottosegretaria a palazzo Chigi, Maria Elena Boschi. Segno che Matteo Renzi nella faccenda vuole mettere bocca e non lasciarla nelle mani del solo Gentiloni, sempre sospetto di eccessiva cedevolezza. Anche se in realtà i distinguo dell’ex premier servono più che altro a chiarire che in Italia quello capace di «andare a gomiti larghi», secondo la sua fiorita espressione, è lui e solo lui.

Il ministro francese dell’Economia Bruno Le Maire è in arrivo. Sarà a Roma oggi e alle 17.30 in via XX Settembre, al ministero dell’Economia, per il vertice che forse non basterà a risolvere la situazione ma chiarirà almeno quali sono le possibilità reali di evitare la rottura piena. Il governo italiano al momento non sembra morbido. Non fa filtrare spiragli e insiste sulla linea dura. Dopo i soliti Padoan e soprattutto Calenda, ieri è stato il turno della ministra della Difesa Pinotti, che suona la stessa musica dei colleghi: «L’Italia non farà un passo indietro. Non è accettabile che ci possa essere una maggioranza coreana al 66% e non una italiana. Su questo non ci muoveremo di un millimetro».
Uno spiraglio nelle parole della ministra però c’è, e al momento pare la sola carta da giocare per evitare il muro contro muro: «Speriamo invece che, aprendo anche a un ragionamento più approfondito sulla parte militare, possa esserci un accordo complessivo». Di certo il capitolo militare è stato trattato anche nel summit di palazzo Chigi. Sono stati proprio i francesi a indicare quella via. In un’intervista domenicale, il ministro Le Maire è stato esplicito: «Noi diciamo ai nostri amici italiani: guardiamo anche a quel che possiamo fare nel settore militare, più precisamente con le navi, e costruiamo un grande campione dell’industria navale europea». Tra le righe Macron fa proporre all’Italia di accettare il passo indietro sul controllo dei cantieri di Saint Nazaire in cambio della costruzione di un polo navale comune destinato a costruire non solo navi da crociera ma anche navi da guerra, capitolo ben più lucroso.

L’offerta, anche se tutta da verificare nel concreto, ha un aspetto allettante dal momento che la Francia rappresenta nel settore una vera potenza. Inoltre Le Maire non ha certo speso a caso l’allusione al «polo europeo», ben sapendo che proprio la tentazione protezionista francese è ciò che più preoccupa l’Italia. Ma l’eventuale accordo avrebbe anche vantaggi per Parigi. Nell’ultimo anno è stata infatti Fincantieri ad aggiudicarsi alcune delle commesse più preziose, come quella col Qatar.

Comunque vadano le cose su quel fronte, il nodo del controllo sui cantieri resta intatto. L’Italia non può fare marcia indietro e subìre un’umiliazione che non si tradurrebbe solo in danno d’immagine ma in perdita secca di peso contrattuale. Senza la conferma del 66% delle azioni, o comunque di una maggioranza netta da subito, ritirerà il suo capitale, come anticipato domenica da Calenda: «Noi alle loro condizioni non ci stiamo. Si riprendano i cantieri».
Neppure Macron, la cui mossa è stata dettata proprio da esigenze interne e d’immagine può però arrendersi senza perdere la faccia. Ed ecco perché la minaccia di Le Maire è speculare a quella di Calenda: «L’accordo fatto da Hollande non proteggeva abbastanza gli interessi strategici industriali francesi». Quindi, se non si troverà l’accordo, «resteremo nella situazione attuale e noi cercheremo altri partner. Però non ce lo auguriamo affatto».

Macron e Le Maire sanno bene che la ricerca non sarebbe facile. All’asta, dopo lo spezzettamento della Stx, l’offerta italiana era stata l’unica. La forza contrattuale di Le Maire dipenderà dunque anche dall’esito dell’incontro di questa mattina a Bercy con il presidente della Regione Loira Retailleau e con i rappresentanti di una ventina di aziende della regione che dovrebbero entrare nel capitale dei cantieri. Tanto più solido si rivelerà il piano di Retailleau, tanto più forte sarà la posizione della Francia nella trattativa a Roma.

In realtà è molto probabile che l’Eliseo davvero «non si auguri affatto» una rottura con Roma che avrebbe comunque ricadute europee negative per il suo aspetto protezionista, che infatti Parigi insiste nel negare affermando che non si tratta di una vera nazionalizzazione. La quadratura del cerchio, forse, potrebbe trovarsi all’incrocio tra l’avvio della collaborazione nel settore militare e soprattutto la messa a punto di quelle “garanzie” sul piano occupazionale che Parigi continua a reclamare. Indispensabili perché Macron possa uscire dalla partita vantando un successo. Tutto sta a trovarle.