L’ultimo boiardo di Stato. Passato indenne perfino sotto le forche caudine della rottamazione renziana. Giuseppe Bono ha 73 anni ed è amministratore delegato di Fincantieri dall’aprile del 2002: di gran lunga il manager più longevo delle aziende a capitale statale. Quindici lunghi anni che vengono dopo i cinque in Finmeccanica (prima come direttore generale e poi come ad) e i 22 in Efim, il braccio armato delle Partecipazioni statali, liquidato nel 1992.
Calabrese laureato a Messina, comincia la carriera amministrativa in un’azienda – la Omeca – cogestita da Fiat e Finmeccanica. L’imprinting – si direbbe oggi nel mondo della finanza globalizzata – è immodificabile: capacità nel controllo dei bilanci unita all’abilità di sapersi districare nel mondo della politica e dei rapporti con i sindacati. Caratteristiche sempre più rare anche fra manager più capaci come ad esempio Claudio Descalzi di Eni che, per queste mancanze ha collezionato la brutta figura della marcia indietro sulla vendita del gioiello chimico Versalis a un fondo americano farlocco.
L’altra grande capacità di Bono è stata quella di riuscire a far galleggiare Fincantieri nel periodo della crisi più profonda. Dal 2009 al 2013 il gruppo era in balia della tempesta; ne è uscito sfruttando la cassa integrazione, scaricando sui lavoratori gran parte dei costi ma – innegabilmente – riuscendo a concentrarsi sull’unico settore trainante della cantieristica: le navi da crociera. E così alla mannaia sull’occupazione italiana – da 13mila a meno di 9mila addetti – hanno fatto da contraltare le tante acquisizioni: la Vard in Norvegia prima fra tutti, fino alla quotazione in Borsa.
Risanato il gruppo e reso globale creando per primo una Joint Venture con i cinesi, la vecchia volpe l’anno scorso ha fiutato il grande colpo: il 66 per cento dei cantieri francesi di Saint Nazaire, acquisendo la quota dei coreani in fallimento di Stx. Quello che mancava a Fincantieri: un bacino enorme in grado di far compiere un passo decisivo per diventare leader globale nella costruzione di navi da crociera. Aveva trovato l’accordo con Hollande. Non aveva fatto i conti con il «protezionismo liberale» di Macron.
Ma al di là delle dichiarazioni di facciata – «La pazienza è finita, non siamo da meno dei coreani, non abbiamo bisogno di Stx» – in questi giorni il suo silenzio è figlio di una trattativa sotterranea. Bono non parla, non partecipa agli incontri. C’è da giurarci però che in caso di compromesso la prima firma in calce sarà la sua.