L’ultima, in ordine di tempo, è stata la Grecia. Nel giugno scorso il parlamento ateniese ha dato il via libera definitivo (accogliendo un emendamento che ha ribaltato il senso del pessimo testo iniziale) alla legge che definisce lo stupro come sesso senza consenso e puntualizza che non è richiesta la violenza fisica perché uno stupro sia considerato tale. Ma prima di allora «solo Belgio, Cipro, Germania, Irlanda, Islanda, Lussemburgo, Regno Unito e Svezia» – secondo il rapporto di Amnesty international «Right to be free from rape» pubblicato la prima volta nel 2018 – rispettano la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa del 2014 che richiede ai Paesi firmatari di adeguare la propria legislazione per meglio combattere le violenze sessuali.

Secondo la Convezione «il consenso deve essere dato volontariamente» affinché il sesso non venga considerato stupro. Nel rapporto di Amnesty che analizza la legislazione di 31 Paesi europei, si riferisce del percorso concluso in Svezia e in quello avviato in Finlandia e Danimarca per modificare la legge, a seguito di una campagna per i diritti umani.

Negli altri Paesi monitorati, compresa l’Italia – Austria, Bulgaria, Croazia, Estonia, Francia, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svizzera e Ungheria – Amnesty ha potuto rilevare una fattispecie di reato dello stupro che prevede la violenza fisica. In Italia l’articolo 609-bis del codice penale punisce come violenza sessuale la condotta di colui che «con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringa taluno a compiere o subire atti sessuali» e quella di colui che «induca un altro soggetto a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto o traendo in inganno la persona offesa». Da noi poi è previsto l’aggravante se il reato è commesso nei confronti di una persona sotto l’effetto di sostanze.

E c’è in Europa perfino chi, come Malta, annovera i reati sessuali tra quelli che «colpiscono il buon andamento delle famiglie».