Abbiamo incontrato il carismatico medico congolese Denis Mukwege, un padre d’Africa che ha appena ritirato il XXVI premio Sakharov 2014 del Parlamento europeo (che fu di Nelson Mandela nell’88) per il suo impegno nel curare le donne congolesi vittime di stupro di guerra. Mukwege ha dedicato il premio a tutte le vittime di stupro. Tra i nominati di quest’anno c’era anche l’attivista per i diritti umani dell’Azerbaijan, Leyla Yunus, attualmente in prigione: è stato impedito a una delegazione dell’Europarlamento di farle visita. Nel 1999, Mukwege ha fondato l’ospedale Panzi, a otto chilometri dalla città di Bukavu nella provincia del Sud Kivu nella zona orientale della Repubblica democratica del Congo, dilaniata da uno dei conflitti più cruenti che sconvolgono la regione. Mukwege lavora con un’équipe di sette medici con l’aiuto anche di tecnologia belga per «ridare la vita alle donne incurabili»: alle vittime di stupri di guerra; e per ridurre gli altissimi tassi di mortalità materna nel suo paese.

Cos’è uno stupro di guerra?

Il corpo delle donne è trasformato in campo di battaglia. La violenza sulle donne come arma di guerra nulla ha a che vedere con lo stupro che subisce una donna che non acconsente a un rapporto. Le donne che curiamo subiscono stupri di gruppo, torture sull’apparato genitale. Molte di loro sono inoperabili quando arrivano al nostro ambulatorio e spesso hanno 14 o 15 anni. In Congo i gruppi armati terrorizzano le donne violentandole davanti a tutti. E la tendenza è a un aumento esponenziale di questi stupri di gruppo anche al di fuori delle regioni colpite dal conflitto.

Come può un uomo commettere un atto tanto atroce?

I violentatori subiscono sin dall’età di dieci anni il lavaggio del cervello perché commettano violenze sulle donne: lo fanno già all’interno delle loro famiglie con le madri e le sorelle. Il 70% di costoro, che poi si arruola, ha sindromi post-traumatiche gravi: sono formati per violentare. Per questo lavoriamo con l’Università di Stoccolma soprattutto per aiutare le donne a superare il trauma da un punto di vista psicologico. In Congo normalmente è la comunità a prendersi cura di una donna violentata, ma questo meccanismo è interrotto dalla guerra in corso: la società è traumatizzata. Non possiamo avere un esercito, poliziotti e amministratori stupratori, criminali, che violentano il proprio popolo.

Cosa succede alle donne che hanno subito uno stupro di guerra in Congo?

Le donne stuprate lasciano la loro terra per vergogna, se rimangono diventano schiave, costrette a lavorare per caporali. Lo stupro di guerra disumanizza, umilia e disonora. E’ un modo per negare l’umanità della donna come portatrice della vita. Centinaia di donne devono fare chilometri e chilometri a piedi per raggiungere il nostro ospedale. Chiediamo che gli ospedali pubblici in Congo offrano la stessa cura olistica per avvicinare le cure alle vittime.

Come è nato il suo impegno al fianco delle donne?

Il numero di vittime di stupri di guerra era talmente alto che non poteva essere un danno collaterale ma un atto pianificato di guerra. Quando operavo le vittime mi rendevo conto che questi stupri sono come delle firme: è possibile distinguere se la violenza è opera di un gruppo o di un altro. E così decisi di fondare l’ospedale Panzi. Abbiamo curato 42 mila donne dal 1998 a oggi. Ma non ci occupiamo solo dei danni fisici, forniamo una cura olistica che consideri anche le profonde conseguenze psicologiche e legali che le donne stuprate in Congo subiscono. E ci occupiamo poi dell’assistenza socio-economica alla famiglia che è una vittima indiretta dello stupro: pensate a un bambino traumatizzato che ha visto con i suoi occhi la madre subire uno stupro e un padre umiliato per la violenza subita dalla sua donna come possono vivere.

Ma la guerra nel Congo orientale continua…

Abbiamo lavorato per anni nel silenzio totale dei media occidentali ora ci sentiamo ripagati dei nostri sforzi, ma per sradicare questo abominio è necessario fermare la guerra in Congo. Da venti anni attendiamo un trattato di pace credibile: ci sono sempre stati accordi che avevano in sé il germe di nuovi conflitti. Abbiamo dato credito agli accordi di Addis Abeba del 2013 ma fin qui non hanno portato a nulla. Subìamo le conseguenze di un’economia militarizzata e istituzioni fragili.

E’ diventato anche un conflitto per il controllo delle ingenti risorse di coltan presenti nel sottosuolo congolese?

Viviamo in una condizione di sicurezza degradata nell’Est del paese. Qui operano gruppi armati di Burundi, Uganda, Rwanda a cui si aggiungono i giovani Mai Mai, gruppi armati locali che violentano le donne per costringerle a lasciare la loro terra e occuparla. E così queste bande armate diventano proprietarie del suolo e del sottosuolo.

Come interviene la giustizia congolese?

Gli stupratori operano nell’impunità totale. Abbiamo leggi per la difesa dei diritti umani, una riforma della sicurezza, votata dal parlamento, ma mai implementata. Vorremmo che venisse creato un tribunale misto per formare i magistrati congolesi. Il Congo è la capitale dello stupro ma non ci sono processi penali che condannino gli stupratori. Chiediamo poi camere separate. Non è possibile che le donne violentate stiano di fronte a poliziotti e soldati che sono stati i perpetratori della violenza quando decidono di denunciarli.

Dopo il tentativo di assassinio che ha subìto per il suo impegno al fianco delle donne («una resistenza testarda», come è stata definita) ha pensato di lasciare il suo paese?

Mi sono trasferito in Belgio per qualche tempo. Le donne che avevamo curato hanno scritto a tutte le autorità congolesi chiedendo il mio rientro. Hanno assicurato che avrebbero fatto loro stesse da sicurezza per evitare che subissi altri attentati. Ogni settimana portavano i loro prodotti per pagarmi il biglietto aereo di ritorno, allora ho deciso di fare rientro in Congo.

Qual è il primo passo perché lo stupro non sia più usato come strumento di guerra?

E’ molto importante che siano gli uomini a impegnarsi. Deve nascere un movimento di uomini che lotta contro la violenza sulle donne. Sappiamo che il 99% degli uomini non commette stupri, per questo sono gli uomini a dover lavorare insieme alle associazioni di donne per superare questa piaga.