«Neghiamo categoricamente le accuse. L’idea che la Turchia, paese che punta all’ingresso in Europa, non rispetti la legge è assurdo». Le parole con cui un anonimo funzionario turco risponde al rapporto pubblicato domenica da Amnesty International ha del surreale: tenta senza successo di nascondere sotto il tappeto il polverone delle purghe di massa in atto da giorni.

Il rapporto esamina nei dettagli torture, pestaggi e stupri subiti dagli arrestati già nelle ore successive al tentato golpe. Numeri impressionanti: 13.165 detenuti, tra soldati, giudici, poliziotti e civili. Le immagini di alcuni arrestati circolavano fin da subito in rete: video di soldati picchiati costretti a denunciarsi di fronte alla telecamera, foto di uomini spogliati e legati.

«La polizia ad Ankara e Istanbul costringe i detenuti in posizioni di stress fino a 48 ore, nega loro cibo, acqua e trattamenti medici, li umilia verbalmente e li minaccia – si legge nel rapporto fondato sulle testimonianze di medici e avvocati – Nei casi peggiori li sottopone a pestaggi e torture, tra cui lo stupro». «I racconti di abusi sono estremamente preoccupanti – commenta John Dalhuisen, direttore della sezione europea di Amnesty – soprattutto alla luce del numero di detenzioni. I cupi dettagli che abbiamo documentato sono solo uno spaccato delle violenze che starebbero avvenendo nei centri detentivi».

Centri noti ma anche sconosciuti: gli arrestati sono stati sparpagliati in caserme e carceri ufficiali ma anche in luoghi informali, come centri sportivi e addirittura, nel caso di alcuni giudici, nei corridoi dei tribunali. Un’ondata di desaparecidos, visto che a familiari e avvocati (scelti dalla magistratura e non liberamente dagli accusati) viene impedito di incontrare i sospetti e di conoscere i reati di cui sono accusati.

Primo passo, lamenta Amnesty, per processi lontani dall’essere equi. Non è questo l’obiettivo della campagna di epurazioni messa in piedi dal presidente Erdogan e fondata su liste di proscrizione pronte da tempo. Ma la pulizia si sta accompagnando a violenze che i raid dei sostenitori del partito di governo Akp e i pestaggi di soldati semplici facevano già temere.

I luoghi peggiori, triste reminiscenza degli stadi cileni usati dagli uomini di Pinochet per torture e sparizioni, sono il centro sportivo Baskent di Ankara e i centri sportivi della polizia. Ma anche la sede della polizia di Ankara dovrebbe sarebbero rinchiusi tra le 650 e le 800 persone: moltissime hanno sul corpo i segni evidenti delle torture, ossa rotta e facce tumefatte. Alcuni non riescono nemmeno a camminare per le botte ricevute.

Qui – come altrove – la polizia picchia i detenuti, li priva del cibo per tre giorni e di acqua per due, impedisce loro di farsi visitare dai medici. Ancora peggiori le condizioni per i vertici dell’esercito considerati gli ideatori del golpe: due avvocati di Ankara hanno raccontato di aver assistito allo stupro di alcuni generali da parte dei poliziotti, con i manganelli o le dita. Umiliazioni che – racconta un avvocato della corte di Caglayan a Istanbul – un detenuto ha tentato di gettarsi dal sesto piano.

Amnesty conclude chiedendo alla Turchia di interrompere immediatamente tali pratiche e permettere l’immediato accesso nelle carceri, formali e informali, a team indipendenti: «Nonostante le terribili immagini pubblicate in tutto il paese – conclude Dalhuisen – il governo è rimasto in silenzio. La mancata condanna delle torture significa condonarle»