Ha già le lacrime agli occhi alla vista del Palazzo Gangi a Palermo, dove, 53 anni prima, aveva girato le scene cruciali del Gattopardo. ‘Tancredi’, senza i baffetti spavaldi del personaggio che gli aveva regalato Luchino Visconti, oggi non è più il sottile soldatino seduttore del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa : oggi Alain Delon, la giovanile camicia jeans rigonfia degli eccessi dell’età, è nonno di sé stesso. L’anno scorso, a 81 anni, ha fatto un salto indietro di oltre mezzo secolo, con la complicità-tv della bella conduttrice Léa Salamè, che per la puntata del suo Stupéfiant del 29 settembre l’ha accompagnato in Sicilia, per registrarne le reazioni e le emozioni sull’ex-set del suo lancio internazionale : con l’intoppo di qualche selfie gentilmente concesso ai passanti in un ardito italiano ‘à la française’ e l’incontro caloroso con la principessa proprietaria del Palazzo, di cui Delon aveva sottoscritto per primo la petizione di fondi pubblici per la manutenzione costosissima di quel pezzo di storia, non solo cinematografica. Già davanti alla facciata imperiosa, Delon si blocca, la voce rotta : « Rivedo Burt Lancaster, Luchino Visconti, Claudia Cardinale, rivedo me debuttante… ». Ma è nel salone del ballo, rimasto intatto, quasi vi risuonasse ancora la musica di Nino Rota, che l’attore non resiste più al pianto : « Che meraviglia. Vi abbiamo trascorso tre settimane : Luchino ha impiegato tre settimane per girare, di notte, in un tripudio di candele accese, la sola scena del ballo. Gli ci è voluto il tempo oggi necessario per girare un intero film : in ventun giorni, adesso, un telefilm è cotto e mangiato ».

Per gli italiani di allora e di dopo, Delon è subito divenuto e rimasto Tancredi. Avvinto a Angelica, cigno femminile : Claudia Cardinale, lei pure – tunisina d’origine – cinematograficamente ‘naturalizzata’ italiana, come Delon. Cui son bastati un paio di film per diventare uno dei ‘nostri’, forse il più ‘nostro’, il più italiano dei francesi. In autunno, diretto a 82 anni da Patrice Leconte (suo regista 20 anni fa in Uno dei due), girerà con Juliette Binoche « l’ultimissimo film (ma non un film di troppo) », come ha ironicamente precisato durante la cerimonia in suo onore al Festival du Film Policier a Liegi. All’alba di quasi 60 fa, 3 anni prima del Gattopardo, Palme d’or a Cannes, era stato protagonista di Rocco e i suoi fratelli di Visconti e dell’Eclisse di Michelangelo Antonioni : nel 1972, altra zampata d’autore, La prima notte di quiete di Valerio Zurlini, dove il bel tenebroso è supplente di lettere di vocazione sessantottina (sigaretta e cappotto di cammello che ripetono il look di Samouraï – Frank Costello faccia d’angelo di Jean-Pierre Melville), fino a volatilizzarsi, tre anni dopo, in stilizzato superman della bellezza nello Zorro-spaghetti di Duccio Tessari. Stop. La parabola di Delon attore ‘italiano’ finisce qui. Ma all’origine c’è Rocco: Rocco e i suoi fratelli.

Com’è entrato nella famiglia d’immigrati al nord, tra Renato Salvatori e Annie Girardot ?

« Pensi che, all’inizio, ci furono molte resistenze all’idea che un giovane calabrese fosse interpretato da un francese. Ma il successo del film cancellò l’anagrafe. E tutti in Italia mi ribattezzarono Rocco. Luchino mi aveva chiamato dopo aver visto Plein soleil, girato a Napoli e nelle isole da René Clément. Era il 1959. Quell’anno girai tre film da leggenda : oltre al francese Plein soleil, due italiani, Rocco e L’eclisse. Tre capolavori : che sono alla base della mia carriera italiana e internazionale ».

Con Visconti cominciò un sodalizio anche teatrale, sfociato nella messinscena a Parigi di Peccato che sia una puttana di John Ford, con la ‘sua’ Romy Schneider.

« Sì, con Luchino ci fu da subito una bella intesa. Era uno di quegli autori, come Clément, come Melville, che ci guidavano verso l’esatto risultato da loro voluto. Nel Samouraï non c’è nulla, dalla cravatta al laccio delle scarpe, alla falda del cappello, che non sia ‘made in Melville’. Luchino, prima delle riprese, recitava per noi la scena. Come Clément, come Melville, che mi ha diretto in tre film-faro, Le samouraï, Un flic e I senza nome, Luchino ci faceva esistere a sua perfetta immagine e somiglianza. Oggi, valli a trovare, registi così. Non dientichiamo che Luchino era anche regista di opere liriche, intrepretate magari da Maria Callas… ».

Qual è il suo ricordo più vivo del Gattopardo ?

« Burt. Burt Lancaster Principe di Salina. La produzione (il grande Goffredo Lombardo, della Titanus) aveva in un primo momento previsto che fosse Luchino a interpretare quel personaggio : ma lui, per pudore o per istinto, ha rifiutato. Di qui, la scelta di Lancaster, che aveva subito suscitato sorrisetti, ironie : un cowboy, nella pelle d’un aristocratico d’antico lignaggio ! Anch’io ero rimasto sorpreso. Avevo visto i suoi film americani, in cui è unico : ma non potevo immaginarmelo in quel ruolo, dove poi è stato prodigioso, confermandosi una leggenda. Sul set lo chiamavo ‘boss’. Dieci anni dopo, ci siamo ritrovati in Scorpio : ‘Adesso, sei tu il boss’, mi diceva. ‘No, Burt, sarai sempre tu il boss, tutta la vita’ ».

E Claudia Cardinale ?

« Ci conoscevamo già da anni. Ci eravamo ritrovati sul set di Rocco e i suoi fratelli. Abbiamo lavorato di nuovo insieme in Usa, tre anni dopo, in Lost Command di Mark Robson. Resterà per sempre un’Angelica da favola. Ma… anche la coppia Tancredi-Angelica non è male, no ?… Claudia e io siamo rimasti amici fedeli : sei anni fa – 48 anni dopo –, a Cannes, abbiamo rivisto insieme il Gattopardo nella versione lunga, di 3 ore e rotti, che né Burt né Luchino avevano mai visto. Che emozione : non sentivi passare il tempo, una visione eccezionale. Oggi non vedo chi e come potrebbe realizzare un fim come il Gattopardo ».

Nel suo ‘curriculum’ italiano, ci sono, a parte l’interrotto Crepa padrone, anche film mancati.

« Sì, almeno tre. Lo straniero, da Camus, dove Luchino mi voleva di nuovo e a cui non ho partecipato per un malinteso con il produttore. Il ruolo è passato a Marcello Mastroianni : con gran beneficio per tutti, credo… Altro titolo mancato, il seguito del Gattopardo, cui avevo lavorato con l’accordo del produttore Lombardo : il Gattopardo 30 anni dopo. Avevo ottenuto il sì di Burt Lancaster che accettava di mostrarsi, paralizzato, su una sedia a rotelle. Ma Burt è morto poco dopo e il film è morto con lui. E, infine, Proust, il sogno d’una vita di Luchino : un progetto, che dopo varie traversie è divenuto Un amour de chez Swann diretto da Volker Schloendorff. Ma Luchino, per il suo adattamento aveva previsto in locandina Sophia Loren, Marlon Brando e me. Un cast piuttosto degno della Recherche, non trova ? ».

Rivede qualche volta i suoi primi film ?

« No, mai. Per me sono tutti – almeno i più importanti – una tranche de vie. Ho provato gioia ma anche grande sofferenza nel rivedere a Cannes il Gattopardo, senza più Luchino, Burt, senza Serge Reggiani. Un film che non ho mai rivisto e non rivedrò mai è La piscine, dove sono insieme, appassionatamente, a Romy. Son tutti morti : Luchino, Melville, Clément, Antonioni, Sautet, Losey. Una mezza dozzina di grandi registi, con cui ho avuto il privilegio di lavorare e ai quali debbo la mia vita d’interprete. Ho fama di cattivo carattere : si è manifestato con i mediocri, mai con loro, cui mi ha sempre legato una fiducia cieca. Sono una mezza dozzina : altro cinema, altra epoca. Ciascuno vive la sua epoca. Oggi sarebbe un miracolato l’attore che riuscisse a lavorare con una mezza dozzina di registi così ».

 

NOTA

Le interpretazioni

E’ stato un italiano completo : sud (con Visconti), centro (con Zurlini), nord (con Antonioni). Un pugno di titoli italiani, ma tra gli indimenticabili della sua infinita filmografia. Nato l’8 novembre 1935, Alain Delon è diventato star a poco più di vent’anni grazie all’Italia : dove è stato subito adottato come il più italiano dei nostri attori. I suoi made in Italy: 1960 : Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti – 1962 : L’eclisse di Michelangelo Antonioni – 1963 : Il gattopardo di Luchino Visconti – 1970 : Crepa Padrone di Piero Schivazappa/Jacques Deray (incompiuto, musiche di Ennio Morricone) – 1972 : La prima notte di quiete di Valerio Zurlini – 1975 : Zorro di Duccio Tessari. E qualche ‘italianità’ sparsa, da Plein soleil (1960) di René Clément a Il clan dei siciliani (1969) di Henri Verneuil, a Due contro la città (1973) di José Giovanni.