Mina, le Kessler, Don Lurio, l’Italia che si è appena affacciata nel decennio del boom, le ambizioni delle tre giovani protagoniste, Giulia (Alessandra Mastonardi), Rita (Diana Del Bufalo), Elena (Giusy Buscemi) a tentar fortuna in Rai. È C’era una una volta – Studio 1, miniserie in due puntate in onda il 13 e 14 febbraio – ovvero nella settimana postsanremese – su Raiuno, targata Lux Vide e prodotta – in collaborazione con Raifiction – da Luca e Matilde Bernabei, i figli di Ettore che proprio nel 1961 assunse la direzione generale della Rai, posizione mantenuta fino al 1974. Il regista Riccardo Donna spiega: «Nella vita professionale ho diretto tanti spettacoli di varietà televisivi, in verità la mia vita professionale inizia proprio da lì. Da bambini mi incantavo a vedere i grandi varietà. Allora non potevo sapere che Studio Uno stava portando una ventata di trasformazione, modernizzando un intero modo di pensare e di raccontare».

Ma tutto questo mondo che ruota intorno alla nascita di una trasmissione simbolo degli anni d’oro Rai, nella storia sceneggiata da Lucia Zei e Lea Tafuri è solo accennato, suggerito ma non diventa motore trainante delle vicende. Studio Uno ha segnato all’epoca il primo serio tentativo Rai di aprirsi a nuovi linguaggi, declinando ogni progettualità al futuro. Spariscono le scenografie sfarzose e barocche, i ballerini e artisti si muovono in grandi spazi e per la prima volta appaiono in scena telecamere e microfoni. Antonello Falqui va negli Stati uniti e riporta le Bluebell, valorizza Mina e la trasforma nell’icona che il tempo (e il ritiro) non hanno scalfito.

C’era una volta Studio 1 si arresta sulla soglia, suggerisce ma sembra dire: «vorrei ma non posso». La complessità di un personaggio come Antonello Fal si riduce nel cliché del fumatore incallito e in una vaga somiglianza fisica dell’attore (Edoardo Pesce) che lo interpreta. E così sono le schermaglie amorose dei giovani protagonisti ad avere la meglio, come accade in buona parte delle produzioni del prime time di Raiuno il target di riferimento è over 60, a cui rivolgere storie accomodanti, quasi esemplari e didattiche. Ben lontana da modelli come Mad Men, la serie americana che attraverso il racconto di un’agenzia pubblicitaria, sapeva invece raccontare criticamente i grandi cambiamenti avvenuti negli Stati uniti durante i rutilanti sixties.