Raul Mordenti, I sensi del testo, Bordeaux edizioni, 347 pagg., 16 euro

Trova ancora posto, nel magma dell’intrattenimento culturale, una critica letteraria? E’ possibile una critica letteraria nell’epoca della disintermediazione, anche (e forse soprattutto) culturale? L’ultimo lavoro di Mordenti, una raccolta di saggi di critica della letteratura, si confronta direttamente con tali questioni. Non è un confronto esplicito, quanto piuttosto un grido di presenza quello che emerge dalle pagine del libro, un affanno che rivendica l’esigenza di un ritorno alla critica. I saggi presenti non seguono un coerente filo logico. La somma dei quali però riesce a svelare il tarlo centrale della cultura contemporanea. L’assenza cioè della mediazione critica tra produttore e consumatore, l’unico rapporto imperante oggi nel mercato (sub)culturale. La qualità dell’opera letteraria è determinata dalla quantità di vendite, le quali, a loro volta, sono determinate dalla stazza degli editori e dal battage mediatico organizzato attorno all’opera. Una dinamica alienante a cui partecipano festosi anche presunti critici al servizio permanente di questo o quell’editore. Un circuito chiuso in cui non esistono riflessioni sul testo, e meno che mai stroncature possibili. Il prodotto letterario perde così la propria funzione riflessiva per trasformarsi in puro intrattenimento, e il lettore (o lo spettatore) in soggetto passivo-recettivo. Ma il lavoro di Mordenti è anche una riflessione sulla letteratura, sul testo, sul senso del testo: «l’essere umano è un animale rivolto al senso. Il senso delle cose rappresenta per l’animale umano un bisogno primario, un’esigenza vitale». La costruzione di senso è allora una vocazione basilare, che rende l’uomo un essere sociale, distinto in ciò dal resto del mondo animale, perché alla ricerca costante del senso delle cose. Si situa in questa esigenza storica la funzione della Letteratura, che è, secondo l’autore, «uno dei massimi sforzi messi in atto dall’uomo di dare senso alle cose per comunicarle». Ma tale costruzione, situandosi nella storia e non fuori di essa, è un campo di battaglia politico. E’ il «potere di nominazione», che si trasforma in un «potere di narrazione», che organizza per intero le nostre letterature, secondo l’autore. In questo punto si situa la decisiva funzione della critica: svelare questo potere di senso, de-mistificare i sensi subliminali e manifesti del messaggio letterario. La letteratura occidentale è fondata sul mito dell’«Io»; la letteratura è presentata come il luogo eminente della soggettività umana. Mordenti si domanda però se sia davvero «un gesto innocente pensare il mondo alla luce di questa idea di poesia». L’Io edificato dalla cultura occidentale è in opposizione all’«Altro», inteso non solo come «altro da sé», ma anche come rapporto con il contesto: «la negazione dell’Altro è veramente una caratteristica forte dell’Essere occidentale, fino dalle sue più profonde radici metafisiche». La letteratura (come ogni altro campo del sapere umano), è viceversa il frutto di un rapporto sociale, creata dal contesto e funzionale ad un contesto. Anche qui: svelare questo contesto, svelarne la funzione che assume in esso certa letteratura, è compito precipuo della critica. Una letteratura senza critica non svincola alcun rapporto tra scrittore e lettore, ma rafforza quel potere di narrazione che si traduce nel potere di costruire un senso politico anche attraverso la cultura. L’importanza di questo lavoro si può notare negli altri saggi proposti nel testo. A partire dallo splendido studio su Le affinità elettive di Goethe, laddove viene indagato il «doppio della borghesia» che pervade traumaticamente tutta la poetica goethiana. Una «doppiezza» che cela, e al tempo stesso rivela, il segreto che angoscia Goethe e la cultura del suo tempo: la coesistenza, nell’illuminismo borghese tedesco, di tratti ancora signorili e pre-capitalistici, che convivono con il mito della Francia rivoluzionaria, ma di cui hanno al contempo terrore per la presenza disturbante della plebe che irrompe nelle vicende politiche della borghesia. Solo il ritorno a una critica militante (e organica?) può svelare allora il senso della letteratura contemporanea.